[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1578652943276{margin-top: 20px !important;}”]In un inizio d’anno a dir poco surreale, abbiamo assistito a un picco strabiliante di “fossilismo acuto”. Un po’ come accade per i picchi influenzali, solo che questa malattia non colpisce localmente, quanto su scala planetaria. Si può quasi coniare un termine per ciò che è diventato quel patologico, ostinato conglomerato di potere, politica e interessi economici che gravitano attorno ai combustibili fossili, che finirà per determinare la vita o la morte di noi tutti (dove noi sta per Homo sapiens più tutte le altre sventurate specie, nostre coinquiline sul pianeta).
L’assassinio di Qasem Soleimani ha riattizzato le braci della paura collettiva di una guerra nucleare fra USA e quello che da anni nell’immaginario occidentale è lo stato canaglia per eccellenza (interessante lettura: l’Iran Svelato – F. Cassinelli). Paura utilissima a Trump per divincolarsi in un solo colpo dal rischio di impeachment e mettere una bella ipoteca a garanzia della sua rielezione: ha aperto la sua conferenza stampa dell’8 gennaio 2020 con la frase ad effetto: “finchè io sarò Presidente, l’Iran non avrà mai l’arma atomica”. Collateralmente, il gesto ha fatto schizzare il prezzo del petrolio, ricompattato il popolo iraniano con il regime e destabilizzato ancora, se possibile, il Medio Oriente.
Gli scienziati segnalano che il 2019 è stato anche in Australia l’anno più caldo e secco di sempre e che i dati mostrano un chiaro trend in peggioramento, negli ultimi anni. Le tipiche condizioni climatiche della stagione autunnale australiana, esacerbate dal riscaldamento globale, hanno portato a ondate di caldo record e a forti venti con aria particolamente secca, su territori che venivano da mesi di prolungata siccità. Il rischio che questa catastrofe si verificasse era altissimo e le autorità ne erano state informate per tempo e da più parti, IPCC incluso. L’arresto dei 183 piromani si è rivelata una fake news, mentre i fulmini si sono sommati a cause antropiche, in parte accidentali, in parte dolose. Come abbiamo letto nel bellissimo post di Giorgio Vacchiano, ricercatore forestale dell’Università di Milano, alcune specie vegetali di questa regione australiana sono per loro natura particolarmente inclini a bruciare, anzi, utilizzano questo metodo come strategia riproduttiva. Queste condizioni hanno dato origine agli incendi più devastanti di sempre, maggiori della somma delle devastazioni di Siberia ed Amazzonia dei mesi scorsi. Le stime numeriche sugli animali vittime degli incendi sono state inizialmente ritenute in eccesso, ma sono basate su calcoli scientificamente validi. Sono stati distrutti otto milioni di ettari di territorio – habitat di numerosissime specie animali, anche endemiche — pari alla superficie dell’Austria. Piero Genovesi, ISPRA, responsabile del Servizio Coordinamento Fauna e membro dello IUCN, International Union of Nature Species Survival Commission, parla di danni enormi alla biodiversità unica della regione. Serviranno decenni per ripagare, e solo in parte, quanto si sta perdendo in pochi mesi. Il koala rischia seriamente l’estinzione. Il WWF australiano arriva a stimare al momento 1 miliardo e 250 milioni di animali sterminati. Le tonnellate di CO2 riversate in atmosfera sono al momento stimate in 350 milioni, quasi pari alle emissioni medie annuali della stessa Australia. Leonardo Di Caprio ha costituito un fondo da 3 milioni di dollari per gli interventi di breve e medio termine (Australia Wildfire Fund), mostrando ancora una volta come si possano utilizzare fama, successo e denaro a beneficio di tutti. Suona quasi bizzarro, ma tutto questo accade, quasi karmicamente, in un Paese guidato da negazionisti e carbonai. Complici i media ammaestrati di Rupert Murdoch, i governanti nemici del clima — ma amici del carbone — hanno anestetizzato la pubblica opinione e ignorato gli accordi di Parigi, risultando ultimi in classifica per le iniziative di contrasto al climate change. Da quanto emerge dai giornali, sembra siano stati derubricati anche i ripetuti allarmi sui rischi di incendio del bush.
Ecco cosa abbiamo davanti agli occhi: la dipendenza ostinata e patologica dai combustibili fossili: petrolio e carbone che determinano la vita, la morte, le guerre, addirittura nucleari; l’incapacità della politica di anteporre il benessere degli esseri viventi e la vivibilità davanti agli sterminati interessi economici – interessi forse è riduttivo, potremmo iniziare a parlare di avidità economiche? — di pochi. Assistiamo all’inadeguatezza di chi deve informare correttamente e prendersi cura dei cittadini, mentre si rivela promotore di informazioni false per manipolare la pubblica opinione. Abbiamo davanti a noi la distorsione della democrazia, usata contro se stessa, che finirà col divorarsi. Nel frattempo, l’Olanda è stata condannata dalla sua stessa Corte Suprema ad attuare una riduzione “opportuna ed appropriata” dei gas climalteranti, poichè, qualora non intervenisse per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, verrebbe ritenuta colpevole di ledere i diritti umani dei cittadini. L’obiettivo di Urgenda, associazione ambientalista che ha portato in tribunale lo stato olandese, era mettere in relazione davanti alla legge gli impatti dei cambiamenti climatici e la violazione dei diritti umani:l’inazione comporta la violazione di questi ultimi e le responsabilità sono chiare. È stata la società civile a mettere la parola fine ai tentennamenti, ai nascondini, alle meline. Noi ci teniamo stretta l’idea che questo sia il compito della politica. A marzo la battaglia legale arriverà in Italia: un network di associazioni ambientaliste porterà in tribunale lo Stato Italiano con un procedimento chiamato Giudizio Universale. Greta Thunberg, laconica, ricorda che “il cambiamento sta arrivando, che lo vogliate o no”. Visto lo scenario, non dovrebbe essere troppo difficile scegliere da che parte stare. Con o contro le fossili, sta diventando una questione di vite e di morti. Ché, anche se non siamo in Australia, esiste la concreta e ormai vistosa possibilità che il fossilismo — quello cronico, più subdolo e meno rilevabile — colpisca la qualità dell’aria a Torino, Milano e in tutta la pianura padana. Ed esiste la possibilità che se non si ravvede subito, la politica fossile esasperi il dissesto idrogeologico, distrugga goccia dopo goccia gli habitat e la biodiversità, compromettendo una biosfera che, integra, determina quell’impercepita, labile condizione essenziale che è la vivibilità del pianeta.
Australia Wildfire fund di Leonardo Di Caprio: www.aussieark.org
Chiara Bertogalli[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]