[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1507020028576{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]La Padania è un territorio mitologico dai confini indefiniti e indefinibili. A nord, non ci sono dubbi, ci sono le Alpi. A sud, invece, il confine padano è variato negli anni, passando dal Po (escludendo un bel pezzo di Piemonte e pezzi di Lombardia, che si trovano a sud del sacro fiume), fino al confine tra Toscana e Lazio. Negli anni ’90 la Lega Nord per l’indipendenza della Padania (nome completo anche dell’attuale Lega di Salvini) arrivò a dichiarare l’indipendenza (appunto) di questo fantomatico territorio e a eleggere un ancor più fantomatico “Parlamento della Padania” (o “Parlamento del Nord”). Era il 1997, Matteo Salvini si candidava con i “Comunisti padani”. La Padania può contare anche su una nazionale di calcio, che partecipa ai campionati delle nazioni non riconosciute, insieme a “Oltrepò” (territorio lombardo a sud del Po) e “Sudtirolo”, in un evidente cortocircuito indipendentista.
Più volte, negli anni ’90, la Lega invocò addirittura le armi («La Lega avanzerà, baionette in canna, paese per paese, villaggio per villaggio» resta tra i più bei costrutti retorici di Umberto Bossi). L’ultima trovata — correva l’anno 2013 — fu la «macroregione».
Ecco, stavano per imbracciare le armi ma si erano sbagliati tutti, scusateli: «Mi sembra chiaro a tutti che l’assetto migliore per il Paese sia quello federale. Insomma, non ci sono nostalgie per la Padania», spiega oggi Matteo Salvini, rifiutando qualsiasi parallelismo tra referendum Catalano (per risolvere il quale sostiene si possa chiedere una mediazione a… Putin!) e referendum Lombardo-Veneto.
«Il voto catalano è stato una forzatura. Quello lombardo e veneto è previsto dalla Costituzione», prosegue Salvini, novello garante dell’unità nazionale ma studente distratto della Costituzione, che da nessuna parte cita l’istituto referendario per applicare l’articolo 116 della Carta. Studente davvero distratto, sostiene anche che il medesimo articolo prevede che «si possano affidare in toto alle Regioni venti competenze, e altre tre in maniera parziale», mentre la Costituzione parla di «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» in quelle materie.
Siamo già alla farsa, ma non è finita qui. Se Salvini non azzarda il paragone col referendum catalano, ci pensa il deputato leghista Gianluca Pini, in merito all’annosa questione (giuro!) della separazione dell’Emilia dalla Romagna (ri-giuro!): «Visto che c’è questo dibattito annoso se la Romagna debba essere una regione o una provincia […], noi vogliamo che siano i cittadini ad esprimersi con un voto con la massima democrazia possibile. Penso che il segnale e la lezione di democrazia, per quanto bastonata, che è arrivata dalla Catalogna sia il miglior viatico per cambiare le scelte strategiche anche in questi territori».
Fai la Padania, disfa la Padania. Fai un referendum che non serve e che non è come quello catalano. Fai il federalismo, ma dividi l’Emilia dalla Romagna. Non è come in Catalogna, ma facciamo come in Catalogna. Nel dubbio, citofonare Putin.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]