[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1507142006471{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]«Si fa una gran confusione tra quel che succede in Catalogna e i prossimi referendum del 22 ottobre in Lombardia e Veneto». Comincia così un post con il quale il direttore Enrico Mentana ci dice la sua sui prossimi referendum leghisti. Ed è vero, ha assolutamente ragione: si fa una gran confusione quando si parla di questi benedetti e fantomatici referendum per l’autonomia.
Mentana, ad esempio, si augura che vinca il Sì, perché ciò «farebbe aprire con decisione il dibattito sulla differenza, non più giustificata, tra regioni ordinarie e regioni a statuto speciale. […] Perché in Sicilia ci sono 22mila lavoratori forestali, più di quanti non ce ne siano in tutto il resto d’Italia? Perché ritorna nelle regioni a statuto speciale il 90% del gettito fiscale versato allo stato, molto più che nelle altre regioni?», si chiede il direttore. «Il concetto è chiaro: condizioni storiche e convenienze politiche portarono la neonata repubblica italiana a concedere statuti speciali a valdostani, sudtirolesi, trentini, friulani, giuliani, sardi e siciliani. Ora tutto questo semplicemente non ha senso, e crea più sperequazioni di quante non ne sani. O tutte le regioni virtuose, cioè in equilibrio con i conti, hanno diritto allo stesso trattamento di quelle a statuto speciale, o diventa intollerabile che alcune regioni possano crescere a scapito delle altre».
Si fa una gran confusione, ma davvero.
In primo luogo, il referendum lombardo-veneto non sfiora nemmeno lontanamente la questione della “specialità” delle regioni elencate da Mentana, ma anzi, facendo leva sull’articolo 116 della Costituzione (che non prevede l’esercizio di un voto referendario) invoca un terzo “status” regionale, che creerebbe una terza categoria di regioni: ordinarie, a statuto speciale, e ordinarie che auspicano e forse otterranno (la procedura prevede infatti un voto parlamentare) maggiori margini di autonomia ex art. 116, senza neppure sapere su quali materie particolari si chiederà questa maggiore autonomia. Le materie in questioni, infatti, sono molte, e Lombardia e Veneto potrebbero chiedere autonomia su materie diverse, così come l’Emilia Romagna, che ha già avviato tale processo senza — guarda caso — indire alcun referendum. Invece che nella direzione del riordino (e lo scrivente è favorevolissimo sia a superare le ragioni a statuto ordinario sia a conferire maggiore potere al sistema delle autonomie locali), si va verso una maggiore confusione.
Mentana cita poi alcune questioni molto concrete e anche in questo caso fa molta, molta confusione. La questione dei forestali, infatti, non è riferibile alla sola Sicilia. In Calabria, regione a statuto ordinario, se ne contavano un anno fa quasi seimila. In Lombardia meno di 500. Lo statuto speciale conta, perciò, ma fino a un certo punto, anche perché potremmo documentare milioni di euro buttati da Regione Lombardia, tra meeting di Comunione e Liberazione e referendum inutili sull’autonomia.
Per quanto riguarda i conti in equilibrio e le tasse che rimangono sul territorio, Mentana sembra voler citare il cosiddetto “residuo fiscale”, un indicatore difficile da stimare e criticato da molti, ma che in ogni caso ci racconta cosa ben diverse rispetto alle conclusioni cui arriva il direttore. Mentana sostiene infatti che «ritorna nelle regioni a statuto speciale il 90% del gettito fiscale», facendo (ipotizzo) una media, che già sembra traballare se pensiamo che di conseguenza ci saranno ragioni a statuto ordinario nelle quali tornerà più del 100% del gettito fiscale. Una media che però nasconde un situazione un po’ più articolata. Secondo i conti della CGIA di Mestre, la regione che ha un residuo fiscale procapite minore (beneficia di più della redistribuzione, quindi) è la Sardegna (speciale), seguita da Calabria (ordinario), Sicilia (speciale), Valle d’Aosta (speciale), Molise, Puglia e Campania (ordinario). Il Friuli (speciale) è praticamente in pareggio mentre il Trentino (speciale) è addirittura in attivo, cioè versa più di quanto percepisca. Ci sono inoltre regioni a statuto ordinarissimo, come il Lazio, i cui conti sono letteralmente esplosi. Ecco, prendendo con le pinze il dato del residuo fiscale: cosa c’entra tutto ciò con il referendum lombardo-veneto, che tra l’altro non riguarda neppure materie fiscali?
Insomma, c’è davvero molta, molta confusione attorno a un referendum che non aprirà alcun dibattito sul superamento delle regioni a statuto speciale, ma che lancerà inevitabilmente la volata alla Lega e alle destre in Lombardia, dove, nel caso, potranno governare con ancora più autonomia di quanta ne abbiamo potuto apprezzare in questi anni che ci hanno regalato un sistema sanitario sempre più privatizzato, autostrade inutili e non completate, legami sospetti con la criminalità organizzata, Renzo Bossi consigliere regionale, le giacche di Formigoni e i 49 milioni di euro che gli sono stati sequestrati.
L’invito è sempre quello a rimanere sul quesito, eliminando costrutti e ipotesi altre, e a dibattere a partire da questo. Restando nel merito.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]