Chi si occupa del divario di genere nel settore digitale?

Sia la “Gior­na­ta inter­na­zio­na­le del­le don­ne e del­le ragaz­ze nel­la scien­za” del­lo scor­so 11 feb­bra­io sia la più nota “Gior­na­ta inter­na­zio­na­le dei dirit­ti del­la don­na” dell’8 mar­zo sono tra­scor­se con il con­sue­to stuo­lo di arti­co­li, ser­vi­zi gior­na­li­sti­ci e diret­te Face­book su alcu­ni casi di don­ne arri­va­te all’apice del­la car­rie­ra scien­ti­fi­ca. Ma se vi fos­se venu­ta voglia di cer­ca­re tra le sta­ti­sti­che annua­li per capi­re se dav­ve­ro qual­co­sa è cam­bia­to per le don­ne nei set­to­ri STEM (Scien­ce, Tech­no­lo­gy, Engi­nee­ring and Mathe­ma­tics) e Infor­ma­tion tech­no­lo­gy, vi sare­ste accor­ti inve­ce che tut­to è come al solito.

Infat­ti, per il Glo­bal Gen­der Gap Report 2020 del World Eco­no­mic forum, l’Italia è al 76mo posto su 153 pae­si per il diva­rio di gene­re, tut­ta­via nel­le pro­fes­sio­ni STEM il Gen­der Digi­tal Gap pre­sen­ta nume­ri ancor più preoccupanti.

Oggi il set­to­re è uno dei più maschi­li­sti e diseguali.

Secon­do Alma­Lau­rea nel 2018 su 76mila lau­rea­ti, il 27,3% sono STEM. Di que­sti, il 60% sono uomi­ni e il restan­te 40% don­ne, men­tre la quo­ta di ragaz­ze iscrit­te a cor­si di lau­rea STEM nell’anno acca­de­mi­co 2018/2019 è sta­ta pari al 17,7%, risul­ta­to che figu­ra addi­rit­tu­ra tra i miglio­ri da 10 anni a que­sta par­te (Osser­va­to­rio Talen­ts Ven­tu­re, 2019).

Dai report si evin­ce anche che le ragaz­ze fan­no regi­stra­re nel­lo stu­dio dei risul­ta­ti miglio­ri rispet­to ai col­le­ghi maschi, ma quan­do si trat­ta poi di entra­re nel mon­do del lavo­ro, dopo cin­que anni dal­la lau­rea — a fron­te di un tas­so di occu­pa­zio­ne medio dell’89% per i lau­rea­ti in disci­pli­ne scien­ti­fi­che -, gli uomi­ni sono a quo­ta 92% di occu­pa­ti con­tro l’85% del­le don­ne e gua­da­gna­no ben il 25% in più.

In Ita­lia, la dispa­ri­tà rag­giun­ge l’apice nel­le aree più inno­va­ti­ve e con più pro­spet­ti­ve di lavo­ro per il futu­ro: cloud com­pu­ting, gestio­ne dati e intel­li­gen­za arti­fi­cia­le, in cui le don­ne sono rispet­ti­va­men­te il 17%, il 19% e il 31%.

Oltre all’ingiustizia socia­le nei con­fron­ti del­le don­ne, abbia­mo la foto di un pae­se che non rie­sce a sta­re al pas­so con l’evoluzione del mer­ca­to del lavo­ro.

La cau­sa? Ste­reo­ti­pi cul­tu­ra­li sul­le pro­fes­sio­ni ICT e con­di­zio­ni del set­to­re ICT poco acco­glien­ti per le don­ne, oltre alla spin­ta dell’ambiente fami­lia­re: sono aspet­ti che ven­go­no spes­so sot­to­li­nea­ti da qua­si tut­te le orga­niz­za­zio­ni e dal­le per­so­ne coin­vol­te nel­la lot­ta con­tro il gen­der digi­tal gap.

Inol­tre, sap­pia­mo che la mater­ni­tà por­ta a inter­ru­zio­ni di car­rie­ra e dei per­cor­si pro­fes­sio­na­li. Que­sto fat­to è ancor vero nel mon­do ICT, che pro­ce­de velo­ce­men­te nel­la ricer­ca e svi­lup­po di sem­pre nuo­vi pro­dot­ti: i pro­get­ti sono da segui­re con assi­dui­tà e le date di con­se­gna devo­no esse­re cer­te, i clien­ti richie­do­no di viag­gia­re spes­so per ese­gui­re instal­la­zio­ni e manu­ten­zio­ni e que­ste con­di­zio­ni sono di osta­co­lo all’affidamento del­le atti­vi­tà a una donna.

E allo­ra si scri­vo­no libri sull’argomento, si pro­pon­go­no tavo­le roton­de, con­ve­gni, semi­na­ri, talk show dove si discet­ta ama­bil­men­te sul­la que­stio­ne, o per meglio dire, dove un grup­po di uomi­ni discu­te ama­bil­men­te la questione.

Sono neces­sa­rie alcu­ne azio­ni chia­ve per dare un rea­le svol­ta a que­sta ten­den­za. Si deve agi­re un cam­bio cul­tu­ra­le che par­ta dai ban­chi di scuo­la per sup­por­ta­re fami­glie e stu­den­tes­se in un orien­ta­men­to sco­la­sti­co libe­ro dagli ste­reo­ti­pi del­le “mate­rie da maschi” e del­le “mate­rie da fem­mi­ne”.

Occor­re cam­bia­re a livel­lo socia­le l’immagine di chi si occu­pa di infor­ma­ti­ca, spes­so asso­cia­ta alla figu­ra del nerd, un ado­le­scen­te bru­fo­lo­so maschio. Ma anche l’idea di una scar­sa capa­ci­tà fem­mi­ni­le nel­la mate­ma­ti­ca e nel­la tec­no­lo­gia deve esse­re eradicata.
Il cam­bio cul­tu­ra­le è neces­sa­rio anche nel­le azien­de che si devo­no ren­de­re con­to, tra le altre cose, che la diver­si­tà per­met­te­reb­be di osser­va­re un pro­ble­ma da pro­spet­ti­ve dif­fe­ren­ti, aumen­tan­do la pos­si­bi­li­tà di tro­va­re solu­zio­ni e alter­na­ti­ve migliori.

Que­sto è un com­pi­to che il nuo­vo gover­no, nel­la sua “Stra­te­gia Nazio­na­le sul­la pari­tà di gene­re” pro­mos­sa dal­la Mini­stra per le Pari Oppor­tu­ni­tà e la Fami­glia, ha già indi­vi­dua­to, non è vero?

Cri­sti­na Cazzulo

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La stra­te­gia del capi­ta­li­smo è quel­la di ato­miz­za­re le riven­di­ca­zio­ni, met­ter­ci gli uni con­tro gli altri, indi­vi­dua­re un nemi­co invi­si­bi­le su cui svia­re l’attenzione, sosti­tui­re la lot­ta col­let­ti­va con tan­te lot­te indi­vi­dua­li che, pro­prio per que­sto, sono più debo­li e più faci­li da met­te­re a tacere.
Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne allo scio­pe­ro del 13 dicem­bre dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non è perduta.