di Silvia Casu
Si sta ora svolgendo la discussione in Parlamento sul rinnovo del sostegno alle missioni internazionali e dei finanziamenti alle autorità libiche. Ed ancora una volta, ci troviamo ad illustrare i perché del nostro fermo disaccordo sui finanziamenti.
Perché report internazionali denunciano da anni sistematiche e gravi violazioni dei diritti umani in capo alle autorità libiche di terra e di mare.
Perché i centri libici non sono di “accoglienza”, ma di “detenzione” — arbitraria ed indeterminata — dei migranti, e vi si verificano torture ed altri trattamenti inumani e degradanti, uccisioni, sparizioni forzate, violenze sessuali, sfruttamento, rapimenti, diniego di cure mediche essenziali, espulsioni collettive e tratta.
Perché la motovedetta libica Ras Jadir, poche settimane fa, ha sparato verso un gommone con a bordo una sessantina di migranti, tentando di speronarlo. Imbarcazione donata ed equipaggio addestrato dallo Stato italiano.
Perché le organizzazioni umanitarie (OIM, UNHCR) in Libia non hanno titolo né mezzi per interrompere la detenzione arbitraria e le violazioni perpetrate in Libia, e pertanto la loro presenza non è garanzia di tutela dei diritti umani – a differenza di quanto paventa, in difesa, il governo.
Perché le missioni europee nel Mediterraneo (che si intendono rinnovate nel Decreto Missioni) sono sempre più depotenziate di mezzi e ritirate verso le coste europee, a ovvio scapito delle vite di chi attraversa.
Perché dal Memorandum del 2017 sono calati gli arrivi in Europa, ma aumentate le morti in mare, le intercettazioni e i successivi sbarchi sulle coste della Libia, che è dichiaratamente un porto NON sicuro di sbarco.
Perché le promesse di modifiche e miglioramenti del Memorandum sono state ampiamente disattese, e i finanziamenti si propongono addirittura di aumentare.
Perché se lo Stato italiano continua la cooperazione con le autorità libiche, nella totale assenza di meccanismi di due diligence e monitoraggio a garanzia del rispetto dei diritti umani, lo Stato italiano è corresponsabile per le violazioni dei diritti umani commesse in Libia.
Perché quando non ci può essere dialogo, sono i patti, e non i porti, a doversi chiudere.