«Non sta succedendo niente, va tutto bene: ci teniamo Alfano». Possiamo perciò dormire sonni tranquilli, il Governo non cadrà e Alfano rimarrà saldamente al suo posto. Nel bel mezzo del pasticcio kazako, il 16 luglio, Giuseppe Civati è ospite della Festa de l’Unità di Roma, intervistato da Maurizio Torrealta.
L’intervista è tutta politica e si concentra sulla stretta attualità. Sul caso Alfano, appunto, e sull’imminente caso Berlusconi. Tutti casi che riguardano i nostri alleati — si fa per dire — ma che riguardano anche noi, che ci siamo infilati in un’operazione politicissima e dai contorni incerti. «Queste cose dovevano stare fuori dal nostro dibattito. Noi siamo diversi e dovevamo essere chiari subito, dall’inizio», dichiara Civati, raccogliendo gli applausi del pubblico. «Non posso partecipare a un dibattito su Berlusconi — continua — cercando di comprendere le ragioni di Ghedini: non me lo merito».
Nel frattempo, parallelamente al pasticcio kazako, parallelamente alle ragioni di Ghedini, procede la discussione sulla modifica della Costituzione. Con le stesse persone, negli stessi luoghi. Secondo una strategia raffinata: cambiare la Costituzione e non la Legge elettorale: «questa la cambieremo alla fine, come ultima cosa, perché prima dobbiamo riflettere insieme a Quagliarello su come vogliamo riformare le Istituzioni».
Gli iscritti al Partito Democratico e i suoi elettori ascoltano, increduli come sempre, da febbraio in poi. La risposta di Civati è molto semplice: «alla discussione sulla formazione del Governo non c’è stato modo di partecipare. E invece è proprio tra un Congresso e l’altro che dobbiamo dare valore alla tessera, facendo partecipare gli iscritti alla discussione politica, ridando a loro la parola».