Classi chiuse, classismo aperto

Un Governo che si dimentica di prendere in considerazione determinati parametri - come l’accesso al cibo quando decide di impedire ai bambini di andare a scuola - è un Governo che ha perso di vista l’unica bussola politica che vale la pena seguire: l’uguaglianza.

Il pro­ble­ma del­le scuo­le chiu­se non è solo la DaD.

Secon­do le sti­me di Save the Chil­dren, per più di 160.000 bam­bi­ni la chiu­su­ra del­le scuo­le ha signi­fi­ca­to un osta­co­lo all’accesso per alme­no due dirit­ti fon­da­men­ta­li: istru­zio­ne e sicu­rez­za ali­men­ta­re, quest’ultima lega­ta alla chiu­su­ra del­le men­se sco­la­sti­che. Ne abbia­mo già par­la­to con “Alla base la scuo­la”, la cam­pa­gna di Pos­si­bi­le sul­la Scuo­la.

Vive­re in situa­zio­ni di pover­tà tali dovreb­be esse­re rite­nu­to inac­cet­ta­bi­le per una demo­cra­zia occi­den­ta­le. Per un pae­se — così det­to — “svi­lup­pa­to”.

E non è un pro­ble­ma di soli­da­rie­tà, ma di pro­get­tua­li­tà politica.
Nel­la lista dei Sustai­na­ble Deve­lo­p­ment Goals, l’agenda del 2030 del­le Nazio­ne Uni­te met­te al pri­mo posto lo sra­di­ca­men­to del­la povertà.
Il pri­mo tar­get, in ter­mi­ni di prio­ri­tà di poli­cy, è pro­prio quel­lo di scon­fig­ge­re l’indigenza ovun­que e in ogni sua for­ma, al fine di garan­ti­re mag­gior benes­se­re ai bam­bi­ni e alle loro famiglie.

L’obbiettivo nume­ro due, inti­to­la­to “zero hun­ger”, pun­ta alla rea­liz­za­zio­ne di un mon­do sen­za fame e, va da sé, scon­fig­ge­re la mal­nu­tri­zio­ne signi­fi­ca popo­la­zio­ni più sane, rap­pre­sen­ta una for­ma di pre­ven­zio­ne nel­lo svi­lup­po e nel­la dif­fu­sio­ne di malat­tie e in una rispo­sta più for­te da par­te degli indi­vi­dui che ven­go­no colpiti.
Banal­men­te, una popo­la­zio­ne più sana rispon­de meglio alle infe­zio­ni vira­li, men­tre sog­get­ti mal­nu­tri­ti han­no mag­gio­ri pro­ba­bi­li­tà di mori­re per malat­tie che pos­so­no esse­re facil­men­te pre­ve­nu­te dai vac­ci­ni, e que­sto suc­ce­de soprat­tut­to ai bambini.

Que­ste con­di­zio­ni sono lar­ga­men­te dif­fu­se nel Sud del mon­do e, pur­trop­po, ci sia­mo abi­tua­ti a tali osce­ni­tà e qual­cu­no lo ritie­ne sop­por­ta­bi­le: ma solo quan­do suc­ce­de nei pae­si in via di svi­lup­po. Tan­to che ci invi­ta­no con­ti­nua­men­te ad aiu­tar­li a casa loro.
Quel­lo che sfug­ge, però, è che i pae­si svi­lup­pa­ti han­no pre­so una chi­na che va nel­la stes­sa dire­zio­ne. Per­ché un Gover­no che si dimen­ti­ca di pren­de­re in con­si­de­ra­zio­ne deter­mi­na­ti para­me­tri — come l’accesso al cibo quan­do deci­de di impe­di­re ai bam­bi­ni di anda­re a scuo­la — è un Gover­no che ha per­so di vista l’unica bus­so­la poli­ti­ca che vale la pena segui­re: l’uguaglianza.

E non è solo una que­stio­ne redi­stri­bu­ti­va, ma di visio­ne di insieme.

Se duran­te una pan­de­mia glo­ba­le, dopo 13 mesi di sospen­sio­ne dei dirit­ti per­so­na­li, il pro­ble­ma è garan­ti­re le vacan­ze di Pasqua all’estero o nel­le secon­de case, è chia­ro che non si sta facen­do nien­te per ridur­re quel­la dico­to­mia pira­mi­da­le che spac­ca la col­let­ti­vi­tà in due, con pesi deci­sa­men­te mal distri­bui­ti, e fa sal­ta­re qua­lun­que tipo di pat­to sociale.

For­se non va più di moda par­la­re di lot­ta di clas­se, ma sicu­ra­men­te dob­bia­mo ini­zia­re a ragio­na­re in ter­mi­ni di supe­ra­men­to di cer­te dif­fe­ren­ze che deter­mi­na­no sì uno sce­na­rio clas­si­sta e distrut­ti­vo del tes­su­to socio-eco­no­mi­co di un pae­se che, a que­ste con­di­zio­ni, non ce la può fare.

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