Che la libertà di coscienza concessa dal leader del M5S ai suoi sulla stepchild adoption per le coppie omosessuali non fosse un’apertura verso il dissenso interno un po’ lo sospettavamo. Il documento che pubblicano ora alcuni giornali, relativamente alle prossime Amministrative capitoline, conferma tale idea. Purtroppo, siamo costretti ad aggiungere.
Il testo, in pratica, dice che per accettare la candidatura si deve firmare un patto che prescrive una lista di cose, tra cui una serie di paletti etici e morali, e va bene, e il programma e il “non Statuto” del Movimento. Qualora quanto contenuto nel “Codice di comportamento per candidati ed eletti” non fosse rispettato, il trasgressore – il termine immagino sia corretto – sarà tenuto al versamento di 150 mila euro (a un ente benefico, per carità) quale forma di risarcimento per il danno d’immagine arrecato al M5S.
Ho letto due volte, giuro. Insomma, chi dissente, paga. Prevengo un’obiezione: “il documento”, mi si potrebbe dire, “attiene principalmente a questioni legate alla condotta di candidati ed eletti, in tema di legalità o, se vogliamo, di cambi di casacca”. Non proprio. Perché quel testo dalla cui violazione scaturirebbero le multe, al punto 3, comma a), spiega che sindaci, assessori e consiglieri pentastellati «dovranno operare in sintonia con i princìpi del M5S, con gli obiettivi sintetizzati nel programma del M5S per Roma Capitale, con le indicazioni date dallo staff coordinato dai garanti del Movimento 5 Stelle (alias, Grillo e Casaleggio, ndr) e porre in essere tutte le iniziative più opportune, in virtù del proprio ruolo, per il loro conseguimento».
A rigor di lettera, anche solo per un dissenso su quelle indicazioni si potrebbe incorrere in una trasgressione dell’accordo firmato, e subirne la relativa ammenda. Il fatto è che non è nemmeno una novità per quella forza politica. Il “codice” che la deputa Roberta Lombardi farà sottoscrivere ai candidati segue quello già definito due anni fa per le Europee, dove la sanzione era pure più alta, ben 250 mila euro.
Ovviamente, solo impenitenti difensori della democrazia rappresentativa e dell’indipendenza da vincoli di mandato come me possono eccepire qualcosa. Il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, infatti, scrive sul suo profilo Facebook: «Abbiamo sempre sostenuto che in Italia debba esistere il vincolo di mandato. […] Se tutti avessero fatto come noi, in Italia non avremmo avuto governi fondati sul tradimento del mandato elettorale. Quindi oggi non avremmo leggi infami come la legge Fornero o la legge Boccadutri. I traditori li lasciamo al Pd. Che ne fa incetta mese dopo mese. Qui conta il rispetto del programma e dei nostri principi, anche a rischio di perdere consensi».
“I traditori”, capite? Le “leggi infami”, sentite? Non vi ricorda qualcosa? Potremmo dire “multa a chi molla”, se non si corresse il rischio di banalizzare troppo momenti non belli, di ieri e di oggi. Però non si può lasciar scivolare tutto come se nulla fosse. Perché dietro la durezza e la violenza del linguaggio, sovente se ne nascondono pari d’azione. E non vorremmo doverle scoprire.
Se invece quella di Di Maio è solo una posa estetica per compattare il fronte, posso suggerire che il tono è sbagliato, e rischia l’effetto contrario. Perché, amici grillini, io stesso ho votato per un programma e mi sono trovato un partito che faceva tutt’altro. Eppure, non recederei d’un millimetro dai miei precetti sull’indipendenza dei rappresentanti.
Soprattutto quando l’alternativa è retta da parole d’ordine quali “infamia” e “tradimento”.