Non si sente un’eroina, Lucrezia Ricchiuti. Eppure, da vicesindaco di Desio a senatrice della Repubblica eletta con le primarie per i parlamentari, il suo nome è associato al costante impegno contro le infiltrazioni della criminalità organizzata nel nord del Paese, che la propaganda leghista asseriva essere impermeabile. Ma dal 30 aprile scorso, la 57enne esponente del Partito Democratico ‑figlia di operai, prima lavoratrice dipendente e poi in proprio- torna alle cronache anche come colei che a Palazzo Madama non ha votato la fiducia al governo Letta, e che a luglio non ha ritenuto fosse il caso di salvare Alfano durante il pasticciaccio brutto col Kazakhstan: «Quello che abbiamo detto in campagna elettorale deve corrispondere ai fatti, e questa alleanza era il contrario di quanto promesso. Abbiamo detto, ho detto, mai col PDL, una forza il cui capo invece di denunciare le minacce ricevute dalla mafia, avrebbe trattato la protezione delle sue aziende con la mafia stessa, ospitando il “galantuomo” Vittorio Mangano in casa propria. Ritengo altresì il ministro Alfano inadatto a ricoprire il ruolo di ministro dell’Interno: abbiamo perso credibilità nel mondo intero, non basteranno vent’anni per riconquistarla».
Ricchiuti, membro della commissione Antimafia, tiene la barra dritta sull’espansione del fenomeno: «La commissione deve prevenire e ascoltare i territori, i segnali sono allarmanti. E’ stato sciolto il consiglio nel Comune milanese di Sedriano, un assessore regionale in Lombardia sarebbe stato eletto coi voti della ‘ndrangheta, indagini in Piemonte e Liguria dimostrano che le cosche si sono insediate, gestiscono imprese e hanno legami stretti con la politica. Cosa stiamo aspettando? Avevo aderito al “braccialetto bianco” dell’associazione Libera, che si riproponeva di modificare l’art.416-ter sul voto di scambio: provo vergogna perché non lo si è ancora fatto, non so dire se e quando succederà, è un altro frutto della santissima alleanza».
Ogni trenta ore si verifica in Italia una intimidazione a un amministratore locale o un danneggiamento di un bene pubblico: «Inoltre – nota la senatrice Ricchiuti – la completa solitudine in cui devono operare questi amministratori li porta alcune volte a lasciare l’incarico. Nessuno di noi dev’essere considerato un eroe: una commissione d’indagine voluta dalla senatrice Lo Moro e da me verificherà se gli strumenti oggi a disposizione sono sufficienti oppure no». Ad esempio, Ricchiuti ha sottoscritto il disegno di legge per lo scioglimento dei consigli regionali in cui siano accertate le interessenze mafiose: «Per combattere un nemico devi prima di tutto sapere chi è, come si comporta, quali sono i suoi alleati».
La Brianza “velenosa” è stata ed è il terreno di battaglia per Lucrezia: «A nord di Milano il consumo di suolo è arrivato a livelli stratosferici, mi chiedo dove ce ne sia di altro da edificare. Bisogna riqualificare l’esistente: a Desio, il piano regolatore precedente rendeva edificabile il comune per l’80%, quando abbiamo vinto le elezioni nel 2011 abbiamo praticato una variante per mettere in salvaguardia il territorio, dove abbiamo riportato 1.400.000 metri quadri dall’uso edificabile a quello agricolo. Oggi il nostro piano è diventato un modello da imitare. Il traffico illecito di rifiuti è l’inizio: i terreni resi tossici vengono “bonificati” e convertiti dalle organizzazioni criminali».
Ogni amministratore lo sa: il patto di stabilità è una mannaia. «Siamo arrivati al paradosso che i Comuni tassano i cittadini ma non possono soddisfare i loro bisogni, i soldi vanno tenuti obbligatoriamente nei conti in banca. Non si possono aggiustare strade, costruire asili e scuole, allestire giardini pubblici: è un meccanismo perverso e va rivisto al più presto, per dare una programmazione a medio termine ai Comuni virtuosi e per far lavorare le imprese con un piano industriale che manca da decenni».
Al congresso del PD, Lucrezia Ricchiuti sostiene la candidatura di Giuseppe Civati: «È coraggioso, oggi il partito è diventato quello della conservazione notarile, esausto, isterico, immobile. La classe dirigente degli ultimi vent’anni ha fatto compromessi al ribasso, è stata troppo dove non doveva stare, cioè nel sottogoverno e nelle nomine, e non è stata dove doveva, ovvero i luoghi di lavoro. Sappiamo che il nostro popolo è in forte dissenso riguardo le scelte fatte finora, alle prossime elezioni rischiamo di perdere ulteriori voti. Credo nel progetto di Civati per un partito che interpelli i suoi elettori non solo ai gazebo delle primarie, ma che li ascolti in quanto fonte di buone pratiche. Il conflitto d’interessi vale anche per noi stessi: sono di sinistra e voglio un partito che mi possa accogliere, che valorizzi il dissenso, un partito delle opportunità e non degli opportunismi, che lotti contro la povertà e l’esclusione sociale, che promuova la cultura contro l’analfabetismo di ritorno. La conoscenza e il lavoro sono inscindibili. Le larghe intese non mi appartengono perché abbiamo idee diverse del mondo, dei diritti e dei doveri, delle regole e soprattutto della giustizia. Tutto questo sta nel progetto di Civati, che rappresenta il cambiamento vero e non è sostenuto dagli stessi che ci hanno portato nello stato di infermità culturale in cui ci troviamo: non sono dalla parte dei postumi e degli esausti, sono pile non più ricaricabili».
#Civoti 07: Lucrezia Ricchiuti