Come carcere il mare, come carceriere lo Stato

Sono tra­scor­se altre 24 ore, da quan­do abbia­mo denun­cia­to pub­bli­ca­men­te l’i­po­tiz­za­bi­li­tà del rea­to di seque­stro di per­so­na sul caso del trat­te­ni­men­to ille­ga­le di 177 per­so­ne – tra cui bam­bi­ni, richie­den­ti asi­lo e vit­ti­me di tor­tu­re, che neces­si­ta­no di imme­dia­ti inter­ven­ti di acco­glien­za, soste­gno e cura — sul­la nave del­la Guar­dia costie­ra ita­lia­na Diciot­ti e auspi­ca­to un inter­ven­to imme­dia­to del­la Pro­cu­ra del­la Repub­bli­ca, per il dove­ro­so eser­ci­zio del­l’a­zio­ne pena­le nei con­fron­ti dei sog­get­ti responsabili.

Dopo la denun­cia, voci auto­re­vo­li si sono uni­te alla nostra, come quel­la di Magi­stra­tu­ra Demo­cra­ti­ca, del Garan­te nazio­na­le per i Dete­nu­ti, di Rober­to Savia­no, del sin­da­co di Napo­li De Magistris.

L’in­ter­ven­to del­la magi­stra­tu­ra, in uno sta­to di dirit­to, è neces­sa­rio per assi­cu­ra­re la lega­li­tà ed il rispet­to dei dirit­ti uma­ni fon­da­men­ta­li: non è più sol­tan­to una que­stio­ne poli­ti­ca, anche se si trat­ta pro­ba­bil­men­te di una del­le più alte e con­tro­ver­se que­stio­ni che la poli­ti­ca pos­sa affron­ta­re, poi­ché sono in gio­co i valo­ri costi­tu­zio­na­li, il rispet­to del­la vita uma­na, il rispet­to del­le Con­ven­zio­ni inter­na­zio­na­li di dirit­to uma­ni­ta­rio, il rap­por­to del­l’I­ta­lia con l’U­nio­ne Euro­pea e gli altri sta­ti membri.

È inim­ma­gi­na­bi­le che un Mini­stro del­la Repub­bli­ca pos­sa ordi­na­re di trat­te­ne­re per gior­ni su una nave 177 per­so­ne, pri­van­do­le del­la liber­tà per­so­na­le sen­za che le altre isti­tu­zio­ni rea­gi­sca­no per l’im­me­dia­to ripri­sti­no del­la legalità.

Sì, per­ché di que­sto si trat­ta: di rispet­to del­la Costi­tu­zio­ne e del­le leg­gi, anche da par­te di chi in veste di Mini­stro par­la e agi­sce come se fos­se legi­bus solu­tus.

Per­ché se le isti­tu­zio­ni non garan­ti­sco­no il rispet­to del­la Costi­tu­zio­ne e del­le leg­gi il pro­ble­ma diven­ta demo­cra­ti­co, col rischio mol­to con­cre­to di una rot­tu­ra sen­za pre­ce­den­ti del pat­to socia­le.

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La stra­te­gia del capi­ta­li­smo è quel­la di ato­miz­za­re le riven­di­ca­zio­ni, met­ter­ci gli uni con­tro gli altri, indi­vi­dua­re un nemi­co invi­si­bi­le su cui svia­re l’attenzione, sosti­tui­re la lot­ta col­let­ti­va con tan­te lot­te indi­vi­dua­li che, pro­prio per que­sto, sono più debo­li e più faci­li da met­te­re a tacere.
Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne allo scio­pe­ro del 13 dicem­bre dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non è perduta.