Ricevo e pubblico questa lettera di Marta Leoni, per un anniversario della Legge Basaglia senza retorica, per guardare avanti:
“Cara Segretaria,
scrivo questa lettera aperta ai tesserati in una data che non ha nulla di casuale. Oggi è il 13 maggio e la legge Basaglia compie 45 anni. Ma oggi sono anche 23 giorni che la psichiatra Barbara Capovani è stata aggredita da un uomo che era stato, in passato, suo paziente e che si sapeva essere pericoloso. Il giorno dopo è morta. È l’ultima di una lista tristemente lunga di aggressioni sul lavoro che colpiscono prevalentemente gli operatori nei pronto soccorso e nella psichiatria.
Da psichiatra, sento di dover fare chiarezza su come funzionano alcune cose.
Innanzitutto cominciamo col dire che i malati di malattia mentale non sono pericolosi. Questa frase la dico senza se e senza ma. E la dico così, generalizzando e semplificando volutamente, perché far passare un messaggio contrario sarebbe come fare cento passi indietro, di cui molti di quelli in avanti furono fatti proprio da Basaglia nel ‘78. Magari sono persone che tutti i giorni vi preparano il caffè, vi cambiano le gomme dell’auto, fanno la fila con voi ai colloqui dei professori, vi aprono un conto in banca o suonano nella vostra band preferita e voi non lo sapete e va benissimo così.
Proseguo sottolineando che le cure in Italia sono su base volontaria. Siamo tutti d’accordo sul fatto che può essere doloroso sapere che una persona potrebbe stare meglio di così ma rifiuta di farlo, soprattutto se quella persona è nostro figlio o nostra madre, ma questo è vero dalle patologie oncologiche alle patologie psichiatriche. È un diritto umano. Può fare rabbia, ma è così.
Non tutti sono in grado di scegliere per sé, è vero. Quantomeno non sempre perché esistono patologie di cui non si ha consapevolezza e che in fase acuta vanno assolutamente trattate. Infatti abbiamo lo strumento del Trattamento Sanitario Obbligatorio che, ricordiamolo, dura sette giorni. Adesso però ci sediamo tutti insieme intorno a un tavolo e leggiamo i criteri per cui uno psichiatra può fare un TSO (non cito la legge, cerco di spiegare così ci capiamo meglio):
- ci deve essere un disturbo psichico con necessità e urgenza non differibile (se oggi rifiuti le cure ma non c’è un quadro urgente, esempio: soffri di ansia da molti mesi e non vuoi assumere il farmaco prescritto, il criterio non sussiste);
- devi rifiutare le cure proposte;
- non si possono adottare misure extra ospedaliere.
E basta! Questi sono i criteri. Inutile nascondersi: è vero che in rari casi, tali patologie possono causare anche agiti aggressivi ma la pericolosità sociale tra i criteri non c’è. Facciamocene una ragione. E, se posso aggiungere, per fortuna! La psichiatria è una branca medica, noi curiamo chi sta male. Sarebbe inaccettabile la delega sul controllo sociale e sulle questioni di ordine pubblico.
Ora, come se fossimo all’università, vi presento un caso clinico da me inventato. Una persona con vari reati penali alle spalle (fuori con la condizionale e i lavori socialmente utili) ha un disturbo da stress post traumatico perché, mentre è al lavoro, ha dei flashback di quando 3 mesi prima è finito nel fosso con la bicicletta. Una sera tira un pugno al suo vicino di casa perché con la macchina gli ha danneggiato la moto parcheggiata in giardino. Il reato viene visto da tutti i vicini e, sebbene connotato da spiccata violenza, all’arrivo della polizia il signore è lucido, sa dove si trova, sa che quello che sta facendo è illegale per il nostro codice penale, non ha sintomi psichiatrici acuti. Immagino che siamo tutti d’accordo sul fatto che non c’entri assolutamente niente che fosse “seguito dalla psichiatria” come mediamente titolano i giornali (in tal senso i giornalisti dovrebbero proprio farsi un esame di coscienza su come narrano questi eventi nei media).
Uno psichiatra non dovrebbe neanche sapere che sta avvenendo tutta questa faccenda. E invece… invece viene chiamato in Pronto Soccorso (dove spesso visita il paziente da solo, in una stanza che non ha nessun dispositivo di sicurezza) perché le forze dell’ordine hanno condotto il criminale lì dopo aver saputo la sua diagnosi e perché c’è l’aspettativa da parte di molti (a volte anche del criminale stesso che spera di trovare un facile escamotage alle sue malefatte attraverso il dispositivo del vizio di mente) che la psichiatria risolva la questione, sedi o interni in una residenza psichiatrica l’aggressore rendendolo mansueto senza sovraffollare le carceri, con grande sollievo del vicino di casa, della motocicletta e della società tutta che ha avuto l’agognato happy ending.
E se voi foste lo psichiatra cosa fareste? I libri vi dicono: fate un referto in cui dite che il signore ha un disturbo adeguatamente trattato e che l’evento di oggi non ha nulla a che vedere con una sintomatologia psichiatrica, il paziente può seguire il suo iter giuridico. Bene, avreste probabilmente inviato in carcere un uomo che finirebbe in un luogo sovraffollato, comincerà se non l’ha già fatto ad abusare di sostanze, conoscerà persone che uscito dal carcere lo inseriranno nella malavita organizzata e dove il suo disturbo psichiatrico potrebbe solo aggravarsi viste le risorse attuali delle cure psichiatriche in carcere e magari, evolvere in un disturbo cronico, invalidante e che lo rende inabile al lavoro (lo stile può sembrare iperbolico ma è molto più realistico di quanto si creda).
Ma anche fidandovi della giustizia e del sistema carcerario, della possibilità di essere protetti dalle forze dell’ordine, avreste fatto quello che ha fatto la dottoressa Barbara Capovani quando ha dimesso Gianluca Paul Seung (o quantomeno quello che si evince dai giornali). Avreste fatto quello che uno psichiatra serio avrebbe fatto. Ed evidentemente, avreste scritto la vostra condanna a morte.
Un partito serio deve cominciare a parlare di salute mentale. Possibile lo fa da anni. È uno dei motivi per cui mi sono tesserata. Adesso è arrivato il momento di dichiarare a gran voce che:
- i tagli del governo Meloni sulla sanità sono inammissibili: non stiamo parlando di tagli necessari a superare un periodo di crisi o di razionalizzazione della spesa pubblica. Stiamo parlando di un programma raffinato e chiaro, volto a distruggere la sanità pubblica in nome di una privatizzazione oramai già imperante che lascerà indietro proprio gli ultimi, i non allineati, i diversi. No ai tagli e no alla privatizzazione.
- la psichiatria non può essere il fanalino di coda della medicina. Abbiamo bisogno di risorse per patologie che prima quasi non esistevano. Il disagio adolescenziale è in carico a delle neuropsichiatrie infantili che 15 anni fa curavano sì e no un terzo dei pazienti con patologie prevalentemente neurologiche e congenite. L’età di esordio dei disturbi psichiatrici si è drammaticamente abbassata e i ricoveri sono cresciuti esponenzialmente. Per non parlare della quantità di minori non accompagnati che necessitano di un supporto psichiatrico/abitativo/socioassistenziale/scolastico. Togliamo i minorenni dai reparti per acuti adulti, creando posti letto a loro dedicati ed in mano ai neuropsichiatri infantili, aumentiamo le risorse e lasciamo che si occupino dei loro pazienti quando ancora le patologie sono trattabili. Non è la soluzione, per carità, ma almeno adeguiamo le risorse economiche per la salute mentale al 5% del fondo sanitario nazionale.
- supportiamo le carceri, le cure psichiatriche in carcere, il reinserimento lavorativo, combattiamo il sovraffollamento. O, perché no, creiamo la nostra “legge 180” del carcere rivoluzionandolo. Il lavoro di Bologna Possibile in tal senso è illuminante e il comitato di Ferrara cercherà a suo modo di portare acqua a questo mulino, con un ciclo di eventi. È un dovere morale, ma anche una necessità in termini di sicurezza e sanità pubblica.
- facciamo un bel regalo di compleanno alla legge Basaglia. Superiamola. Come dice il professore Ivan Cavicchi: non è con una santificazione della 180, senza superarne i limiti che Basaglia stesso aveva già individuato, che si fa un servizio a quello spirito riformatore che lo contraddistingueva e che ci descrive come partito. Quella legge ha dei limiti: dobbiamo andare avanti, forse con la consapevolezza che siamo nani sulle spalle dei giganti ma non accontentandoci. La dicotomia ospedale/territorio, il TSO, la pericolosità sociale, il parziale vizio di mente, sono concetti che vanno fatti crescere ed in alcuni casi superati. Correggiamo gli errori fatti non tornando indietro (“riapriamo gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari perché le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza sono state un fallimento”) ma andando avanti (forse esiste la possibilità di una struttura intermedia tra la REMS e il domicilio? Forse c’è bisogno di aprirne di più e di investirci di più?). Mettiamo i medici in condizione di lavorare in sicurezza e serenità, riconosciamo un rischio professionale in termini di lavoro usurante o di indennità di rischio, facciamo delle leggi per proteggere gli operatori sanitari dalle aggressioni (qualcosa è stato fatto di recente ma evidentemente la montagna ha partorito un topolino), proteggiamo i medici dalla pioggia di denunce che servono solo ad ingrassare gli avvocati che le portano avanti (97% delle cause che si chiudono in un nulla di fatto intasando i tribunali e decuplicando i costi della medicina difensiva), aumentiamo la presenza di forze dell’ordine negli ospedali e nei reparti magari pagandoli con degli stipendi dignitosi, ritorniamo a parlare di prevenzione e riduzione del danno nelle scuole, nei consultori, nei SerD, nelle unità di strada, in TV e sui giornali. Questa cosa è sostenibile? Si, solo se ci decidiamo ad aumentare le tasse a chi le può pagare, investendole nella sanità pubblica.
Oggi, con Possibile, festeggiamo una legge dall’infinito potere riformatore, oggi piangiamo Barbara. Le due cose non sono in contraddizione. Gli psichiatri, gli psicologi, i neuropsichiatri infantili, gli infermieri psichiatrici, i tecnici della riabilitazione psichiatrica, i tossicologi, gli assistenti sociali, gli operatori socio sanitari, gli educatori sanno bene che il cambiamento ha bisogno di motivazione. Mai come oggi siamo motivati a cambiare.
Grazie,
Marta Leoni”.