[vc_row][vc_column][vc_column_text]Il sindaco di Firenze Nardella nelle scorse settimane si è fatto promotore di una proposta dell’ANCI a mobilitazione della società civile: una legge di iniziativa popolare per introdurre «Educazione alla cittadinanza» nel curricolo di tutte le scuole come disciplina separata e con voto autonomo.
Che il principale «compito della scuola» sia «trasformare un gregge passivo in un popolo di cittadini pensanti» lo ricorda il maestro Mario Lodi (classe 1922) ancora nel 2012, in un’intervista rilasciata per i suoi novant’anni. Autorevole e instancabile difensore della cultura democratica, del diritto allo studio, della Costituzione, fu fra i primi a portarla fra i banchi. Nominato dal Ministro De Mauro membro della Commissione per il riordino dei cicli, fu definito nel 2014 dallo stesso Matteo Renzi premier «uno di quei piccoli maestri che ha fatto grande il nostro Paese». In quell’intervista, l’anziano «amico della scuola pubblica» già lamentava la fine di un’utopia: il sogno di una scuola libera.
Nardella si è ispirato forse a Mario Lodi con la sua iniziativa per l’istituzione dell’Educazione alla Cittadinanza come disciplina separata e con voto autonomo? Leggendo la LIP, sembrerebbe di no.
Nella legge vi è una premessa oratoria che risale al lontano 1953: trova menzione l’«Educazione civica» di Aldo Moro per valorizzare finalità formative e repubblicane, della scuola e della sua LIP. Si richiama il nesso fra cittadinanza e territorio. Si invitano i Comuni a fare la loro parte, dentro un progetto democratico-costituzionale della società. Nobili intenti sulla carta, tolti alcuni dubbi su vaghezze linguistiche: si pensi al riferimento a radici e identità, che a pensar male ammiccano proprio a quel bisogno di “territorio” e di “comunità” su cui fanno leva opposte e svariate sirene.
Il primo problema di ordine generale che incontra questa proposta è infatti l’impianto orario e curricolare ad oggi vigente, ereditato dalla Riforma Gelmini. Con la “Buona Scuola” e quando poteva farlo, il Partito Democratico si è ben guardato anche solo dallo scalfire questo impianto, nonostante le promesse elettorali e i leonini assalti contro il cosiddetto berlusconismo (Moratti, Aprea, Gelmini).
Si legge infatti nella LIP dell’ANCI: «il monte ore necessario (non inferiore alle 33 ore annuali) ove non si preveda una modifica dei quadri orari che aggiunga l’ora di educazione alla cittadinanza, dovrà essere ricavato rimodulando gli orari dalle discipline storico-filosofico-giuridiche» (art. 2), rinviando di fatto all’azione di una Commissione ad hoc presso il Miur «la decisione di optare per un’ora di nuova istituzione che si aggiunga in tutti o in alcuni cicli di istruzione e tipologie di indirizzo scolastico, o per un’ora da ricavare nell’ambito dei quadri orari già esistenti» (art.3).
Questi rilievi bastano ad evidenziare alcune contraddizioni: di chiarezza, di consistenza, di coerenza politico-culturale e didattico-metodologica. Non abbiamo l’ardire di introdurre il neofita al fascinoso mondo degli articolati della legislazione scolastica, o al labirinto quasi mitologico dell’attuale situazione normativa. Supponiamo pure che sia un lodiano amore per la Costituzione e per la scuola ad animare il sindaco di Firenze e l’ANCI: però vale la pena provare a spiegare dove sono il pericolo, le criticità, l’inconcludenza. E, soprattutto, dare qualche informazione, affinché ciascuno possa formulare una propria opinione, per individuare qualche dubbio, cioè un legittimo sospetto.
Il primo passo obbligatorio per la difesa della scuola, della cultura democratica, della persona e del cittadino, per la difesa della Costituzione e della stessa “educazione alla cittadinanza” è infatti il seguente: la scuola non deve mai più essere esposta a dilettantismi e a demagogia, per ottenere volatili consensi. La scuola non può e non deve mai più essere ‘usata’: studenti, insegnanti, dirigenti scolastici, genitori non sono carne da macello – presto dimenticati nell’Ammazzatoio post-elettorale – frullati in arditismi e individualismi politici alla ricerca di pubblicità. Non si può criticare il ‘populismo’ ed essere ‘populisti’. Non si può, sempre, costantemente, ciecamente, dimenticare onestà intellettuale e buon senso, quando si parla di scuola, cultura, educazione, arte, storia, scienza.
Proviamo a riassumere con tre parole, nel merito: la LIP dell’ANCI è settoriale, verticistica, estemporanea, in perfetta linea con leggi e leggine piovute dall’alto sul sistema scolastico in modo incoerente almeno a partire dal 1997. Sono errori già fatti, è bene non ripeterli.
Al momento esiste già l’insegnamento «Cittadinanza e Costituzione» all’interno della disciplina detta «Geostoria e Cittadinanza e Costituzione», nel biennio delle superiori e negli altri cicli inferiori di scuola: le ore di storia e geografia sono state complessivamente compresse e così accorpate (Gelmini, 2009). Al triennio delle superiori si lavora sulla ‘cittadinanza’ soprattutto all’interno della cattedra di Italiano e storia e/o Storia e filosofia e Diritto, nei quadri orari consentiti per legge (Gelmini, 2009).
Naturalmente l’insegnamento si intreccia con una serie di ulteriori indicazioni e realtà, non facili da coordinare e decodificare.
Ad esempio, l’insegnamento dovrebbe intrecciarsi con le competenze chiave e le competenze di cittadinanza (Europa) a carattere trasversale (inter o trans-disciplinare). Per il triennio va tenuta presente anche la «Guida operativa» per l’Alternanza Scuola Lavoro e le prime indicazioni sulla riforma dell’esame di Stato, che è ancora indeterminata. Fra gli “obiettivi” della Buona scuola sono ovviamente presenti i richiami al concetto di cittadinanza: il rituale si ripete da anni, un po’ ipocrita, un po’ farisaico. A ciò si aggiunga il «voto di comportamento» sempre introdotto dalla Gelmini, né toccato né chiarito dalla 107, che viene a sua volta variamente agito sulla base di spunti legati alle più diverse attività e declinazioni di cittadinanza. La Buona scuola, s’è detto, non ha toccato in alcun modo l’impianto Gelmini ma vi si è semplicemente sovrapposta, aggravando il quadro.
Quanto riferito è solo un accenno alla realtà, il cui quadro è già impegnativo nonché confuso. Si intrecciano spinte e interpretazioni varie e opache: forse solo ora il problema, grazie all’impegno degli operatori e non certo grazie alla Buona scuola o alla Gelmini, comincia a trovare i primi approcci interdisciplinari e/o di integrazione all’interno di una prospettiva di curricolo verticale.
Se si lascia l’impianto della Riforma Gelmini, ricavare «Educazione alla Cittadinanza» in quanto disciplina autonoma dalle quote orarie delle discipline storico-letterarie, filosofiche o giuridiche espone pertanto a seri rischi.
Produce in primo luogo frammentazione e segmentazione aggiuntive degli insegnamenti, con probabili nuovi ‘obblighi’ burocratici per insegnanti e studenti, confusioni e distorsioni applicative: ambiguità, inoltre, sullo ‘statuto’ della disciplina, tutto da stabilire, oscillante fra storia, tematiche valoriali e diritto. Il problema infatti esiste da tempo e non è di facile soluzione: ovvero quello degli statuti disciplinari e del rapporto con le fasi evolutive per cui si propone l’insegnamento. La soluzione è particolarmente difficile dentro un sistema che al momento taglia le gambe ad ogni forma di sperimentazione metodologica, organizzativa, didattica e valutativa, di fatto e di diritto; ‘sistema’ che, d’altra parte, continua a rilanciare obiettivi di ogni sorta senza una visione d’insieme.
In secondo luogo c’è un elemento pedagogico-didattico, a prescindere: ricavare quote orarie con voto autonomo dalle discipline storico letterarie, filosofiche o giuridiche, significa penalizzare ancora una volta le cosiddette materie umanistiche, proprio nella loro valenza storico-culturale, strategica, critica e di sostegno all’intero blocco formativo. Il danno complessivo si realizza in termini quantitativi, data la segmentazione prospettata nella LIP. Ma può realizzarsi anche in termini qualitativi: nonostante e in virtù del disagio del sistema, è urgente mettere in costante relazione l’intero corpo delle discipline curricolari attraverso attività interdisciplinari liberamente, realisticamente e serenamente progettate: attività che coinvolgano tutti gli insegnamenti (area umanistica, area scientifica, area tecnico-scientifica ecc.).
L’istituzione di una ennesima Commissione che riformuli e in teoria declini «obiettivi di apprendimento» non pare costituire garanzia per l’attuazione dei propositi ‘costituzionali’. Non pare probabile, sulla base delle pregresse esperienze e se si conosce la miriade di «obiettivi» già prescritti nei molteplici documenti normativi cui abbiamo alluso: si veda l’art. 3 della LIP nardelliana e la messe pletorica dei compiti programmatici che tale Commissione dovrebbe ancora realizzare, aggiungere, declinare.
Le «Indicazioni nazionali per il curricolo» (gelminiane), ad esempio, sono un altro documento cruciale che parla già di numerosi obiettivi di apprendimento e competenze associate — disciplinari, interdisciplinari, trasversali. Le Indicazioni costituiscono l’attuale cuore del curricolo della scuola italiana: non sempre tuttavia sono in coerenza con gli stessi (rigidi) quadri orari della Riforma Gelmini, con i suoi stessi «Profili in uscita» a conclusione del Ciclo superiore; e neppure del tutto coerenti con il precedente documento sulle competenze finali per la conclusione della scuola dell’obbligo (Biennio superiore, Ministro Fioroni, «Assi culturali», e appunto «Competenze chiave e di cittadinanza» europee ivi richiamate). Le Indicazioni per il curricolo quindi non aiutano molto
Il concetto di curricolo è stato inoltre accantonato in numerosi Istituti e spesso tradotto come mero programma, sempre più vasto, frazionato, dinoccolato e imposto (a insegnanti, genitori e studenti): accettato solo per sfinimento, se è concessa una battuta di spirito. L’elenco potrebbe proseguire
Questa bizantina, critica e poco intelligibile realtà è determinata da vari fattori, come ovvio: storici, economici, sociali, e culturali di più ampia portata. Ma sopra ogni cosa questa realtà si è determinata in Italia proprio in virtù della prassi, eminentemente politica, del bricolage normativo e della stratificazione schizofrenica, a tratti sorprendente e al di là di ogni immaginazione. L’inserimento di un nuovo insegnamento cui adattarsi e cui far fronte non è certo di aiuto in questo contesto. Se proprio si vuole riflettere su materie e insegnamenti da introdurre, sarebbe molto più interessante avviare un dibattito serio sull’introduzione del Diritto in tutti gli indirizzi delle scuole superiori: più oggettivabile, valutabile, meno esposto ad operazioni manipolatorie che con la Costituzione hanno poco a che vedere.
La pratica di ‘introdurre nuove materie’ dall’alto, indipendentemente da risorse, da riflessioni più ampie e da un minimo di coerenza intellettuale, organizzativa e culturale, è in ogni caso vecchissima in questo Paese. È parte integrante di quella prassi politica superficiale e strumentale che è fra le principali cause delle difficoltà del sistema scolastico italiano.
Le nuove proposte del nuovo PD ‘dei territori’ (della LIP promossa dall’ANCI) non si discostano da questa nobile tradizione: verticistica, settoriale ed estemporanea, l’ennesimo intempestivo intervento scoordinato su quadri orari, situazioni e vincoli didattico-organizzativi, economici e pedagogico-culturali già scoordinati e frazionati.
Sono errori già fatti, si è detto, ed è bene non ripeterli.
Ricordiamo al sindaco Nardella che ci sono problemi di rango superiore da affrontare per difendere la cultura, le istituzioni e la Costituzione democratica: molti purtroppo causati dalla Buona scuola, precipitato chimico della diseducativa chiacchiera burocratico-sloganistica, efficientistica, muscolare e agonistica che tanto sembra aver fatto breccia nella politica contemporanea. Ad onor del vero, non pare neppure così elegante, da parte loro, scomodare il nome di Aldo Moro per dar lustro al rinverdito e improvviso spirito civico-democratico del Partito Democratico.
Mario Lodi, poco prima di morire, disse: «L’Italia è un disegno incompiuto. Non è nato il popolo che volevamo rieducare, così come non è nata la scuola che avevamo in mente. Se mi volto indietro, se penso al nostro lavoro di quei decenni, mi sembra tutto vanificato. Oggi è prevalsa la scuola tradizionale, un modello competitivo che somministra nozioni e dà la linea». Insomma, seguendo la celebre storia dell’uccellino Cipì, scoperto il Mondo siamo caduti nel «buco fondo e nero», ma rimaniamo ancora prigionieri: «- Com’è carino, lo mettiamo in gabbia? — No, leghiamogli il filo alla zampa – dissero i bambini…E Cipì intanto soffriva: a momenti non ricordava più nulla e chiudeva gli occhi come se stesse per morire. La sua mamma intanto volava intorno alla casa dell’Uomo e chiamava: — Cipì, sono qui! Sono qui! — Ma Cipì non la sentiva, perché fra le mani dei due bambini ne passava di tutti i colori: lo chiusero in gabbia, lo ingozzarono di bocconi gialli perché credevano piangesse per fame, gli legarono un filo alla zampa, lo fecero correre nel cortile e ogni volta che Cipì spiccava il volo e cadeva in terra i bambini ridevano» (Mario Lodi e i suoi ragazzi, Cipì, Einaudi Ragazzi, 1972).
La questione della Cittadinanza, della Costituzione e della Scuola è una cosa molto seria, è un profondo impegno: lo può insegnare anche una vecchia favola sulla ricerca della libertà, al di là delle finestre di una scuola di campagna.
Dafne Murè, Comitato Scuola di Possibile[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]