“Con la cultura non si mangia”

Ogni riforma dal 1990 a oggi ha partecipato a smantellare i sistemi culturali in Italia, instaurando sempre più una meccanica volta a privatizzare e precarizzare i dipendenti, in un'assurda idea che il sito culturale sia profittevole quanto un centro commerciale.

Pri­ma parte.

“Con la cul­tu­ra non si mangia”.

Anni fa que­sta stu­pi­dag­gi­ne ven­ne attri­bui­ta spe­ci­fi­ca­ta­men­te al mini­stro Giu­lio Tre­mon­ti, diven­ta­to sim­bo­lo di una visio­ne gret­ta e mate­ria­le del­l’ag­gres­sio­ne al patri­mo­nio arti­sti­co pubblico.

Tre­mon­ti non è cer­to l’u­ni­co col­pe­vo­le, ma sem­mai ha incar­na­to que­sta opi­nio­ne: stu­dia­re o lavo­ra­re nei beni cul­tu­ra­li sareb­be una per­di­ta di tem­po per­ché non gene­ra pro­fit­to rea­le, meglio dedi­car­si ad altro. Sal­vo poi, accor­gen­do­si che effet­ti­va­men­te par­la­re di azio­ni, finan­za e spe­cu­la­zio­ni non ha un gran­de appeal, i patri­mo­ni cul­tu­ra­li pos­so­no esse­re usa­ti e con­su­ma­ti. In pra­ti­ca, il patri­mo­nio cul­tu­ra­le non deve esse­re sov­ven­zio­na­to poi­ché non gene­ra uti­li, ma deve esse­re pron­to e per­for­man­te quan­do c’è biso­gno di esibizione.

Tut­to il siste­ma cul­tu­ra­le ema­na­to da ogni mini­stro del­la Cul­tu­ra in Ita­lia negli ulti­mi 40 anni ha pic­co­na­to e reso impro­ba­bi­le la vita lavo­ra­ti­va: se l’in­se­ri­men­to del pae­sag­gio nei beni da tute­la­re è una con­qui­sta non così recen­te (anni Ses­san­ta e Set­tan­ta i pri­mi accen­ni), si sta facen­do di tut­to per riu­sci­re a smantellarlo.

Ogni aspet­to del­la frui­zio­ne cul­tu­ra­le è mina­ta dal­la tota­le man­can­za di inve­sti­men­ti, dal­la man­can­za di per­so­na­le, dal­la dele­ga a enti, fon­da­zio­ni e coo­pe­ra­ti­ve pri­va­te che per pri­ma cosa sca­ri­ca­no i costi del lavo­ro por­tan­do­lo vici­no allo zero. Archeo­lo­gia, con­ser­va­zio­ne, museo­lo­gia, biblio­te­che, archi­vi, arti per­for­ma­ti­ve, foto­gra­fie, arti pla­sti­che. Gli archeo­lo­gi che sono costret­ti ad aprir­si una par­ti­ta iva per fare vigi­lan­za not­tur­na nei can­tie­ri a 5 euro l’o­ra, volon­ta­ri negli archi­vi per­ché stan­no rapi­da­men­te andan­do in pen­sio­ne i vec­chi dipen­den­ti, sovrin­ten­den­ti a nume­ro­se aree archeo­lo­gi­che con­tem­po­ra­nea­men­te distan­ti km tra loro. I ban­di di gara che pre­ve­do­no volon­ta­ria­to dal per­so­na­le in sala alla per­so­na che lo diri­ge­rà, o peg­gio, un back­ground eco­no­mi­co al posto di uno in con­ser­va­zio­ne. Siti archeo­lo­gi­ci abban­do­na­ti a sé stes­si, irrag­giun­gi­bi­li, pri­vi dei ser­vi­zi più ele­men­ta­ri con­tro la cele­bra­zio­ne in pom­pa magna di aver cam­bia­to due beo­le a Pom­pei, così come inte­ri archi­vi lascia­ti al più tota­le abban­do­no degli agen­ti atmosferici.

Tut­to que­sto nasce dal­l’i­dea ridi­co­la che il patri­mo­nio cul­tu­ra­le sareb­be un car­roz­zo­ne inu­ti­le, una spe­sa super­flua. Per­ché è pre­sto det­to, per tre ragio­ni mol­to semplici:

- la pri­ma: l’ar­cheo­lo­gia è una brut­ta bestia e ten­de a voler stu­dia­re le stra­ti­gra­fie di ciò che tro­va e spes­so quin­di osta­co­la l’e­di­li­zia in luo­ghi remo­ti in un pae­se pri­mo per con­su­ma­to­re di suo­lo come è l’Italia.

- La secon­da: l’ar­chi­vi­sti­ca è una crea­tu­ra mal­va­gia per­ché ten­de a voler con­ser­va­re ogni foglio pos­si­bi­le, tenen­do quin­di trac­cia del­la memo­ria dei docu­men­ti, in un pae­se che ten­de ad appiat­ti­re la memo­ria su un eter­no qui, ora, e a ricor­da­re la neces­si­tà di ave­re spa­zio per docu­men­ti che non può esse­re con­ver­ti­to ad altro.

- La ter­za: sia­mo in un pae­se pro­fon­da­men­te clas­si­sta e pove­ro­fo­bi­co, e l’u­so del­la cul­tu­ra può esse­re solo riser­va­to a una acri­ti­ca cele­bra­zio­ne del pote­re. Se l’ar­te con­tem­po­ra­nea ten­de alla cri­ti­ca del­la socie­tà e del pote­re, vie­ne invi­si­bi­liz­za­ta cele­bran­do musei pri­va­ti pie­ni zep­pi di scher­mi con imma­gi­ni AI (che ovun­que tran­ne qui stan­no caden­do sot­to gli assal­ti del­le class action degli arti­sti), l’ar­te clas­si­ca vie­ne svuo­ta­ta di com­ples­si­tà e ridot­ta a mera con­fe­zio­ne mera­vi­glio­sa che può esse­re affit­ta­ta da chic­ches­sia per even­ti pri­va­ti, a fron­te di ingres­si sem­pre più costo­si, even­ti sem­pre più esclu­si­vi, pre­sti­ti musea­li sem­pre più ridi­co­li. Oltre alle scuo­le sem­pre più costo­se, di arte o di comu­ni­ca­zio­ne del­l’ar­te, scuo­le di con­ser­va­zio­ni, archeo­lo­gie, master, per­fe­zio­na­men­ti post doc etc che mira­no, anno dopo anno, a restrin­ge­re i pre­ten­den­ti a posti di lavo­ro a con­tat­to con le arti a una cer­chia sem­pre più oli­gar­chi­ca di nepo­kids che pos­so­no sgra­na­re rosa­ri di sta­ge. Sia­mo lon­ta­ni anni luce dei con­cet­ti di museo espres­si dal­l’I­COM (museo come luo­go per il cit­ta­di­no di appren­de­re, di cul­tu­ra, di frui­zio­ne e di dilet­to) e da quel­li, para­dos­sal­men­te, del­l’In­ghil­ter­ra vit­to­ria­na e Fran­cia dove, anche se da un lato si riem­pi­va­no la pan­cia di beni otte­nu­ti in manie­ra per dire buro­cra­ti­ca­men­te acro­ba­ti­ca dal­le sue colo­nie, dal­l’al­tro si ripen­sa­va total­men­te strut­tu­ra e ora­ri per per­met­te­re alla clas­se lavo­ra­tri­ce di gode­re del bel­lo, di accul­tu­rar­si da soli nei mean­dri del­le espo­si­zio­ni accor­pa­te dai mece­na­ti tra­mi­te una nuo­va inven­zio­ne: le dida­sca­lie e la pannellistica.

Tut­to ciò nasce, in Ita­lia da un con­cet­to che nem­me­no nel­la fan­ta­scien­za più estre­ma: il museo/patrimonio cul­tu­ra­le deve esse­re un gene­ra­to­re di profitti.

Que­sta visio­ne ha por­ta­to a situa­zio­ni estre­me: se da un lato i con­cor­si per diri­ge­re un museo han­no del tut­to per­so la carat­te­ri­sti­ca richie­sta di con­ser­va­zio­ne pri­vi­le­gian­do back­ground azien­da­li ed eco­no­mi­ci, dal­l’al­tra c’è sta­ta una dra­sti­ca cor­sa al ribas­so del costo del lavo­ro tra­mi­te i con­trat­ti pagliac­ci che appli­ca­no in manie­ra crea­ti­va la con­trat­tua­liz­za­zio­ne pur di non paga­re il per­so­na­le ester­na­liz­za­to e man­te­ner­lo nel­le situa­zio­ni più pre­ca­rie pos­si­bi­le, men­tre il per­so­na­le inter­no inve­ce si sta avvi­ci­nan­do sem­pre più alla soglia pensionistica.

Ogni rifor­ma dal 1990 a oggi ha par­te­ci­pa­to a sman­tel­la­re i siste­mi cul­tu­ra­li in Ita­lia, instau­ran­do sem­pre più una mec­ca­ni­ca vol­ta a pri­va­tiz­za­re e pre­ca­riz­za­re i dipen­den­ti, in un’as­sur­da idea che il sito cul­tu­ra­le sia pro­fit­te­vo­le quan­to un cen­tro com­mer­cia­le pen­san­do di poter dedur­re un uti­le da quel­lo spi­ra­glio tra la cifra del ban­do vin­ta e alla soglia di pover­tà degli sti­pen­di dei dipen­den­ti: pen­sa­re di poter fare impre­sa in cre­sci­ta con que­sto siste­ma è mate­ma­ti­ca­men­te idio­ta, pri­ma anco­ra di uma­na­men­te ripro­ve­vo­le, per­ché dato un nume­ro fini­to di tur­ni da copri­re si gene­ra un nume­ro fini­to di sti­pen­di non emes­si, che non può esse­re una voce che ammor­tiz­za il non-incas­so. Que­sto siste­ma infat­ti va for­tis­si­mo soprat­tut­to per i musei più gros­si e le mostre, per­ché i pre­sti­ti sono soprat­tut­to da pri­va­ti. Dei 15 euro in media richie­sti per il bigliet­to, c’è un ulte­rio­re capo­la­vo­ro del mini­ste­ro del­la cul­tu­ra: l’en­te che ospi­ta si accol­la le spe­se (riscal­da­men­to, per­so­na­le inter­no), men­tre mol­to più del­l’in­cas­so va in bal­zel­li, pre­sta­to­ri ano­ni­mi, distri­bu­to­ri, fon­da­zio­ni esterne.

Solo un fol­le che non cono­sce le più basi­la­ri leg­gi del­la libe­ra impre­sa pen­se­reb­be che gesti­re un museo pos­sa gene­ra­re un atti­vo degno del tito­lo azien­da lea­der del set­to­re, e baste­reb­be dare un’oc­chia­ta ai dati rea­li: il 70% dei musei ita­lia­ni non arri­va a stac­ca­re in un anno 5000 bigliet­ti, a fron­te del­la neces­si­tà di esse­re aper­ti tut­ti i gior­ni, paga­re le bol­let­te, gli sti­pen­di, le assi­cu­ra­zio­ni. Musei che oltre­tut­to, dopo il covid, han­no ridot­to dra­sti­ca­men­te l’o­ra­rio. Per­ché, ricor­do, la mis­sio­ne del sito cul­tu­ra­le non è gene­ra­re uti­li, ma esse­re aper­to e frui­bi­le e con­ser­va­re e comu­ni­ca­re per la cit­ta­di­nan­za, anche se in tut­to l’an­no sola­re entras­se una per­so­na sol­tan­to. Se inve­ce di anno in anno la fre­quen­ta­zio­ne cala, qual­co­sa non sta fun­zio­nan­do nel­la nar­ra­zio­ne che il museo fa di sé alla cittadinanza.

5000 bigliet­ti che in mag­gior par­te, oltre­tut­to, sono sco­la­re­sche loca­li, quin­di si trat­ta pure di bigliet­ti dimez­za­ti impie­ga­ti per l’e­du­ca­zio­ne. È chia­ro che o la strut­tu­ra la sera ven­ga aper­ta per ospi­ta­re una bisca clan­de­sti­na o, dal pun­to di vista mera­men­te d’im­pre­sa, non può sta­re in pie­di. Eppu­re la ten­den­za dei vari mini­stri che si sono suc­ce­du­ti è per­met­te­re che si instau­ri­no fon­da­zio­ni, coo­pe­ra­ti­ve e asso­cia­zio­ni che assol­va­no il mini­ste­ro del­l’o­ne­re del per­so­na­le, a fron­te di peg­gio­ra­re la situa­zio­ne di frui­zio­ne del sito: ora­ri di aper­tu­ra sem­pre più risi­ca­ti fino alla neces­si­tà di pre­no­ta­zio­ne, a gior­ni alter­ni, improv­vi­si aumen­ti di costo del bigliet­to, ope­re pre­sta­te e non annun­cia­te fino a tro­va­re le sale vuo­te o addi­rit­tu­ra chiu­se, ser­vi­zi non garan­ti­ti (bagni). Non apro la paren­te­si lega­ta alla frui­zio­ne da par­te del­le per­so­ne diver­sa­men­te abi­li per­ché sareb­be una tra­ge­dia. Il set­to­re cul­tu­ra­le è l’u­ni­co in cui si accet­ta di buon gra­do l’e­si­sten­za con­cor­ren­zia­le del volon­ta­rio e del per­so­na­le sot­to­pa­ga­to che spes­so deve assol­ve­re alle man­can­ze e lacu­ne in para­dos­so del per­so­na­le interno.

La cosa più assur­da è che tut­to ciò non è un siste­ma di impre­se nel libe­ro mer­ca­to che, sfrut­tan­do leg­gi, pen­sa sia più pre­mian­te ave­re una clas­se lavo­ra­tri­ce scle­ro­tiz­za­ta, ma che sia deri­va­ti­vo dal Mini­ste­ro di com­pe­ten­za e, in sca­la, dal­lo Sta­to. Sta­to che, intan­to, ha smo­le­co­la­riz­za­to il tes­su­to del lavo­ro per­met­ten­do di ave­re qual­cu­no sem­pre più in bas­so a cui rivol­ger­si: se non è un pre­ca­rio, sarà uno sta­gi­sta, e dopo l’al­ter­nan­za scuo­la lavo­ro, e dopo il volontario.

Que­sto cir­co­lo vizio­so crea tre situa­zio­ni: la cro­ni­ca man­can­za di inve­sti­men­ti e assun­zio­ni; per­so­na­le ester­no, comun­que già mol­to for­ma­to, con paghe da fame e una vita pre­ca­ria, e un enor­me stress sui beni stes­si che ven­go­no sbal­lot­ta­ti sen­za appa­ren­te cri­te­rio da una mostra all’al­tra, dove ven­go­no espo­sti a cen­ti­na­ia di miglia­ia di visi­ta­to­ri sen­za un con­cre­to beneficio.

Que­sto por­ta a musei comu­na­li vuo­ti, ad archi­vi abban­do­na­ti che chiu­do­no, a biblio­te­che che rischia­no il col­las­so, e a un nume­ro risi­ca­to di siti cul­tu­ra­li let­te­ral­men­te pre­si d’as­sal­to dal­la fol­la che paga una cifra inve­re­con­da per esi­bi­re la pro­pria pre­sen­za a una mostra di grido.

Tut­ta­via, il fat­to che musei, aree archeo­lo­gi­che, archi­vi e biblio­te­che deb­ba­no esse­re respon­sa­bi­li nel­le loro scel­te (e cioè ricor­dar­si che la loro mis­sio­ne è, appun­to, acco­glie­re la cit­ta­di­nan­za, non respin­ger­la trin­ce­ran­do­si die­tro a scel­te intel­let­tual­men­te clas­si­ste e respin­gen­ti), non vuol dire che deb­ba­no esse­re lascia­te da sole: un siste­ma come quel­lo volu­to soprat­tut­to da Fran­ce­schi­ni in cui il museo rispon­de solo e sol­tan­to dei pro­pri incas­si met­te in dif­fi­col­tà, appun­to, tut­ti quei pic­co­li musei che ven­go­no fre­quen­ta­ti soprat­tut­to dal­le sco­la­re­sche, e scle­ro­tiz­za­no inve­ce quel­li con ope­re vedet­te, dove accam­pa­no spet­ta­co­li cir­cen­si. Un museo pic­co­lo o un’a­rea archeo­lo­gi­ca mol­to iso­la­ta non avrà mai più i fon­di per tute­la­re se stes­sa: sal­te­ran­no le ope­re di manu­ten­zio­ne sem­pli­ci (taglio del­l’er­ba), del costo del lavo­ro (diver­ran­no volon­ta­ri), fino a che sarà un non-luo­go espo­sto agli agen­ti, sem­pre meno bat­tu­to da ele­men­ti erra­ti­ci come i turi­sti, dive­nen­do al con­tra­rio luo­go inte­res­san­te per la cri­mi­na­li­tà, tra tom­ba­ro­li e traffichini.

Inol­tre è abba­stan­za pro­va­to che in un regi­me in cui suben­tra un prin­ci­pio di eco­no­mia la pri­ma voce di costo che sal­ta è il costo del lavo­ro, a fron­te comun­que di una richie­sta di per­so­ne sem­pre più for­ma­te (sei paga­to € 5/ora, ma devi comu­ni­ca­re in tre lin­gue e dare infor­ma­zio­ni cul­tu­ra­li). È un siste­ma che se fos­se esclu­si­va­men­te in libe­ra impre­sa sareb­be inso­ste­ni­bi­le: non solo per­ché tut­ti i musei del mon­do han­no comun­que del­le dif­fi­col­tà a resta­re in atti­vo nono­stan­te il loro egre­gio lavo­ro die­tro al siste­ma che reg­ge le gran­di dona­zio­ni pri­va­te, ma per­ché sem­pli­ce­men­te il museo non è un par­co avven­tu­ra di divertimento.

Il museo deve esse­re aper­to tut­to l’an­no, garan­ti­re il mini­mo ser­vi­zio anche se nel cor­so del­l’an­no sola­re entras­se­ro solo 10 visi­ta­to­ri. E lo deve fare anche l’an­no suc­ces­si­vo, e l’an­no dopo anco­ra. Que­sto per­ché il patri­mo­nio cul­tu­ra­le è lo Sta­to, e lo Sta­to sia­mo noi.

La situa­zio­ne non cam­bia alzan­do i prez­zi dei bigliet­ti a cifre stel­la­ri crean­do il para­dos­so di ren­der­lo inav­vi­ci­na­bi­le al pub­bli­co a fron­te di scu­se ridi­co­le come biso­gna meri­tar­se­lo, non c’è prez­zo per la bel­lez­za quan­do poi il mas­si­mo del­l’e­spe­rien­za che si offre è sale stra affol­la­te, in mano a un pugno di socie­tà che ammas­sa­no nel­le sale grup­pi su grup­pi, e nes­su­na frui­bi­li­tà del­l’o­pe­ra e si gri­da al mira­co­lo quan­do un nuo­vo diret­to­re ren­de leg­gi­bi­li i nuo­vi car­tel­li­ni, imple­men­ta una car­tel­lo­ni­sti­ca bilin­gue o sem­pli­ce­men­te man­da l’i­spet­to­re del lavo­ro a capi­re com’è che i dipen­den­ti inter­ni non sono in postazione.

L’as­sur­di­tà è pro­prio que­sto siste­ma, evi­den­zia­to nel caso del­la Val­le Camo­ni­ca, di sca­ri­ca­ba­ri­le o, se pre­fe­ri­te, più scien­ti­fi­ca­men­te det­to stal­lo alla mes­si­ca­na: non è col­pa del Mini­ste­ro, è col­pa del­l’A­zien­da, per cui la col­pa è dei lavo­ra­to­ri che costa­no trop­po e del pub­bli­co che man­ca. Il che è assur­do, per­ché se c’è qual­cu­no che non ha alcun pro­ble­ma di voci di costo dovreb­be esse­re pro­prio lo Sta­to, poi­ché è sor­ret­to dal­le tas­se del­la cit­ta­di­nan­za e, per far sì che i luo­ghi cul­tu­ra­li pos­sa­no soprav­vi­ve­re di sé, deve inve­ce inve­sti­re in qua­li­tà for­ma­ti­va, sta­bi­li­tà, comu­ni­ca­zio­ne con la cittadinanza.

Il per­so­na­le ester­no non deve solo tam­po­na­re una situa­zio­ne che in real­tà è cro­ni­ca, poi­ché più pas­sa il tem­po più vi è neces­si­tà di ave­re per­so­na­le, anche qua­li­fi­ca­to, che si fac­cia cari­co del­la frui­zio­ne del sito. Quel­lo che sfug­ge in tut­to ciò è che, nei ban­di di gara dove spa­dro­neg­gia il mas­si­mo ribas­so con lacu­ne fino al 33% in meno come nel caso del­la vit­to­ria del­la COSMOPOL, è che gli orga­ni­smi del­lo Sta­to avreb­be­ro poten­zial­men­te la pos­si­bi­li­tà, a fron­te di offer­te per­ce­pi­te come incon­grue per i costi mora­li ed eco­no­mi­ci, cioè se trop­po bas­si per ogni cri­te­rio imma­gi­na­bi­le, di richia­ma­re sopral­luo­ghi all’im­prov­vi­so nel­l’a­zien­da e deci­de­re, per incom­pa­ti­bi­li­tà con la decen­za, di respin­ge­re la domanda.

A fron­te del­le paghe da fame e dal­l’a­bu­so di volon­ta­ria­to, è chia­ro che il Mini­ste­ro del­la Cul­tu­ra riten­ga tut­to ciò inve­ce accettabile.

Quel­lo in atto nei mestie­ri cul­tu­ra­li è un vero e pro­prio ricat­to mora­le nei con­fron­ti del­le persone.

Da un lato c’è la fred­da e mate­ma­ti­ca cer­tez­za che, a fron­te di abbas­sa­re l’of­fer­ta eco­no­mi­ca, qual­cu­no di abba­stan­za for­ma­to che accet­ti ci sarà sem­pre e for­ni­rà volen­te o nolen­te le sue com­pe­ten­ze al costo di una coca cola/ora. Di con­se­guen­za, anche se lavo­ra­tri­ci e lavo­ra­to­ri scio­pe­ra­no, o si licen­zia­no, il tas­so di sosti­tu­zio­ne su cui si può con­ta­re è abba­stan­za alto e può esse­re rapi­da­men­te sosti­tui­to. In que­sto sen­so sono sia i lavo­ra­to­ri più fra­gi­li che sono, per vari moti­vi, costret­ti a far­si basta­re pochi spicci/ora, sia quel­li che non han­no nes­sun biso­gno di lavo­ra­re, per­ché stan­no fre­quen­tan­do l’en­ne­si­mo sta­ge pro­fes­sio­na­liz­zan­te per otte­ne­re l’en­ne­si­ma ban­die­ri­na sul CV che ser­vi­rà a otte­ne­re il pros­si­mo inca­ri­co piut­to­sto pre­sti­gio­so e che quin­di lo fan­no volen­tie­ri (un’al­tra pia­ga socia­le dei mestie­ri cul­tu­ra­li). L’al­tra par­te del ricat­to mora­le è che sono mol­tis­si­me le per­so­ne che han­no stu­dia­to mate­rie uma­ni­sti­che e beni cul­tu­ra­li, e a cui pian­ge il cuo­re sape­re che il sito potreb­be resta­re chiu­so, o rischia­re, se non c’è qual­cu­no che si immo­la sul­l’al­ta­re del­la mis­sio­ne uma­na, e che si sen­to­no costret­te per que­sto ad accet­ta­re qual­sia­si cosa pur di resta­re nel sen­tie­ro che da un lato è nel pro­prio cam­po di stu­di, dal­l’al­tra qual­co­sa che ama­no per per­met­te­re che il sito resti aperto.

Non solo, guar­dia­mo­lo anche dal lato mera­men­te eco­no­mi­co e di libe­ra impre­sa: stia­mo par­lan­do di deci­ne di miglia­ia di lavo­ra­to­ri e lavo­ra­tri­ci mol­to qua­li­fi­ca­te, con com­pe­ten­ze lin­gui­sti­che (ita­lia­no, ingle­se, ter­za lin­gua EU/nonEU), cul­tu­ra­li (appli­ca­zio­ni uma­ni­sti­che oriz­zon­ta­li che con­net­to­no tut­ti i pos­si­bi­li sce­na­ri richie­sti dal pub­bli­co), appli­ca­ti­ve (soft­ware, impa­gi­na­zio­ne, frui­bi­li­tà), uma­ne (assi­sten­za al pub­bli­co stra­nie­ro, anzia­no, infan­ti­le, disa­bi­le). Per­so­ne intrap­po­la­te in situa­zio­ni pre­ca­rie che, alla pri­ma occa­sio­ne di sta­bi­li­tà, farà fagot­to per sem­pre, por­tan­do­si via le pro­prie com­pe­ten­ze. Pos­si­bil­men­te fuo­ri dal­l’I­ta­lia. Que­sto siste­ma così con­ce­pi­to dice let­te­ral­men­te che lo Sta­to pre­fe­ri­sce fare a meno di per­so­na­le qua­li­fi­ca­to già for­ma­to nei pro­pri siti, met­ten­do­lo in con­di­zio­ne di lavo­ro oppor­tu­ne, per­ché gra­zie al subap­pal­ta­men­to nel mas­si­mo ribas­so pre­fe­ri­sce tene­re le per­so­ne ricat­ta­te pre­ca­riz­zan­do la loro vita, ren­den­do­la insta­bi­le e spin­gen­do­le all’ab­ban­do­no del set­to­re, un set­to­re che al con­tra­rio ha biso­gno pro­prio di per­so­na­le sta­bi­le e qua­li­fi­ca­to per resta­re a gal­la e che basta un accen­no di pro­te­sta esse­re messo subi­to in difficoltà.

AIUTACI a scrivere altri articoli come quello che hai appena letto con una donazione e con il 2x1000 nella dichiarazione dei redditi aggiungendo il codice S36 nell'apposito riquadro dedicato ai partiti politici.

Se ancora non la ricevi, puoi registrarti alla nostra newsletter.
Partecipa anche tu!

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

Congresso 2024: regolamento congressuale

Il con­gres­so 2024 di Pos­si­bi­le si apre oggi 5 apri­le: dif­fon­dia­mo in alle­ga­to il rego­la­men­to con­gres­sua­le ela­bo­ra­to dal Comi­ta­to Organizzativo.

Il salario. Minimo, indispensabile. Una proposta di legge possibile.

Già nel 2018 Pos­si­bi­le ha pre­sen­ta­to una pro­po­sta di leg­ge sul sala­rio mini­mo. In quel­la pro­po­sta, l’introduzione di un sala­rio mini­mo lega­le, che rico­no­sces­se ai mini­mi tabel­la­ri un valo­re lega­le erga omnes quan­do que­sti fos­se­ro al di sopra del­la soglia sta­bi­li­ta, for­ni­va una inno­va­ti­va inter­pre­ta­zio­ne del­lo stru­men­to, sino a quel tem­po bloc­ca­to dal timo­re di ero­de­re pote­re con­trat­tua­le ai sin­da­ca­ti. Il testo del 2018 è sta­to riscrit­to e miglio­ra­to in alcu­ni dispo­si­ti­vi ed è pron­to per diven­ta­re una pro­po­sta di leg­ge di ini­zia­ti­va popolare.

500.000 firme per la cannabis: la politica si è piantata? Noi siamo per piantarla e mobilitarci.

500.000 fir­me per toglie­re risor­se e giro d’affari alle mafie, per garan­ti­re la qua­li­tà e la sicu­rez­za di cosa vie­ne ven­du­to e con­su­ma­to, per met­te­re la paro­la fine a una cri­mi­na­liz­za­zio­ne e a un proi­bi­zio­ni­smo che non han­no por­ta­to a nes­sun risul­ta­to. La can­na­bis non è una que­stio­ne secon­da­ria o risi­bi­le, ma un tema serio che riguar­da milio­ni di italiani.

Possibile per il Referendum sulla Cannabis

La can­na­bis riguar­da 5 milio­ni di con­su­ma­to­ri, secon­do alcu­ni addi­rit­tu­ra 6, mol­ti dei qua­li sono con­su­ma­to­ri di lun­go cor­so che ne fan­no un uso mol­to con­sa­pe­vo­le, non peri­co­lo­so per la società.
Pre­pa­ra­te lo SPID! Sarà una cam­pa­gna bre­vis­si­ma, dif­fi­ci­le, per cui ser­vi­rà tut­to il vostro aiu­to. Ma si può fare. Ed è giu­sto provarci.

Corridoi umanitari per chi fugge dall’Afghanistan, senza perdere tempo o fare propaganda

La prio­ri­tà deve esse­re met­te­re al sicu­ro le per­so­ne e non può esse­re mes­sa in discus­sio­ne da rim­pal­li tra pae­si euro­pei. Il dirit­to d’asilo è un dirit­to che in nes­sun caso può esse­re sot­to­po­sto a “vin­co­li quan­ti­ta­ti­vi”. Ser­vo­no cor­ri­doi uma­ni­ta­ri, e cioè vie d’accesso sicu­re, lega­li, tra­spa­ren­ti attra­ver­so cui eva­cua­re più per­so­ne possibili. 

Mobilitiamoci contro il DDL Paura

Saba­to 16 novem­bre era­va­mo a Roma, in Sapien­za, per l’assemblea con­tro il ddl 1660, già ribat­tez­za­to ddl “Pau­ra”, o “Repres­sio­ne”, o “Unghe­ria”, a indi­ca­re dove

Il Governo Meloni sta indebolendo l’Università e la Ricerca

Il gover­no Melo­ni ha scel­to di ridur­re le spe­se per uni­ver­si­tà e ricer­ca, andan­do in con­tro­ten­den­za rispet­to alle poli­ti­che euro­pee, men­tre il costo del per­so­na­le e l’inflazione con­ti­nua­no a cre­sce­re, aggra­van­do le dif­fi­col­tà eco­no­mi­che degli ate­nei. Inol­tre, il nuo­vo sche­ma di distri­bu­zio­ne del FFO pre­mie­rà le uni­ver­si­tà in base ai risul­ta­ti del­la ricer­ca, ridu­cen­do le risor­se “pere­qua­ti­ve” desti­na­te a bilan­cia­re le disu­gua­glian­ze tra ate­nei, aumen­tan­do ulte­rior­men­te il diva­rio tra le università.