di Silvia Romano
Il 3 febbraio gli ambasciatori dell’Unione europea hanno finalmente trovato un accordo sul formato della Conferenza sul futuro dell’Europa, che a causa dell’emergenza sanitaria e dei disaccordi tra le istituzioni europee su chi avrebbe dovuto assumerne la Presidenza, era stata rimandata a data da destinarsi. Se grazie a questo accordo si esce dall’empasse dando il via libera al lancio della Conferenza il prossimo 9 maggio (giorno dell’Europa), si rinuncia invece all’obiettivo di coinvolgere i cinquecento milioni di cittadini europei nella costruzione del futuro dell’Europa.
Secondo l’idea originaria, lanciata nella primavera 2019 dal Presidente francese Emmanuel Macron, e pochi mesi dopo ripresa negli orientamenti politici della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la Conferenza sul futuro dell’Europa avrebbe dovuto essere avviata il 9 maggio 2020 per una durata di due anni, durante i quali avrebbe riunito i cittadini, la società civile e le istituzioni europee in un ampio dibattito partecipativo su come riformare l’Ue “per renderla più democratica e più incisiva nel processo decisionale”.
Per “dare nuovo slancio alla democrazia europea” von der Leyen intendeva così avviare delle riforme per “procedere verso un pieno potere di codecisione per il Parlamento europeo e l’abolizione dell’unanimità per le politiche in materia di clima, energia, affari sociali e fiscalità”.
Questi ambiziosi propositi sono del tutto svaniti nel compromesso adottato il 3 febbraio. L’assetto della Conferenza è ben lontano dall’idea di un coinvolgimento dal basso della società civile europea: i lavori della Conferenza saranno infatti gestiti da un comitato esecutivo, che deciderà “per consenso”, ovvero attraverso le consuete negoziazioni diplomatiche (“a porte chiuse”). Inoltre, il testo precisa che la Conferenza non porterà ad alcuna modifica dei trattati (“non rientra nella logica dell’art. 48 TUE”). Si abbandona quindi anche l’idea di riformare le istituzioni dell’Ue.
Ancora una volta stiamo perdendo una preziosa occasione di rifondare l’Ue su basi democratiche che permetterebbero ai cittadini di riavvicinarsi al progetto europeo e, all’Europa, di trovare la capacità decisionale necessaria per affrontare le sfide globali della nostra epoca.
Il rischio della catastrofe ecologica, le pandemie, l’immigrazione e il rispetto del diritto d’asilo, il rispetto di tutti i diritti umani e civili, la giustizia sociale, la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata sono questioni che non si possono risolvere se ci limitiamo a trattarle soltanto a livello nazionale. Nessuno Stato da solo può farcela, poiché si tratta di fenomeni globali che hanno natura transnazionale e richiedono soluzioni sovranazionali e globali.
Invece, nel disegno istituzionale dell’Ue così com’è oggi, sulle questioni chiave i governi dell’Ue conservano un diritto di veto secondo il sistema decisionale dell’unanimità. Così di fronte alle varie incalzanti urgenze non si riesce ad agire in modo adeguato per mancanza di accordo tra i 27 Stati membri o, nel migliore dei casi, ci si accontenta di compromessi al ribasso, spesso tardivi ed inefficaci.
Inoltre, l’Ue non dispone di risorse fiscali proprie (ad eccezione di una piccola percentuale dell’Iva nazionale, alcuni dazi, un prelievo su prodotti agricoli provenienti da Paesi non europei, e una nuova risorsa basata sulla quantità di rifiuti di imballaggi in plastica non riciclati), dipendendo quasi interamente dai trasferimenti finanziari degli Stati membri.
Insomma, l’Ue non dispone dei mezzi finanziari e delle istituzioni democratiche per raggiungere i suoi obiettivi e questo non fa altro che esporla alle critiche distruttive dei sovranisti.
Soltanto un’Europa unita e coesa, forte della legittimità democratica confidatagli dai suoi cittadini, potrà agire a livello globale per avviare un cambiamento di rotta. Per questo motivo è urgente riformare l’Ue dotandola di istituzioni democratiche di natura federale.
Dobbiamo insistere perché la Conferenza sul futuro dell’Europa apra un dibattito di valenza costituente, per permettere ai cinquecento milioni di cittadini europei di partecipare alla costruzione del proprio futuro.