Si è tenuto a Copenaghen il 6° congresso degli European Greens, una tre giorni di discussione e condivisione tra i partiti che in tutti i paesi d’Europa fanno parte dei Verdi Europei. Militanti, attivisti e attiviste, amministratori e amministratrici hanno portato sul palco temi e soluzioni per un dibattito che parte da situazioni anche molto diverse da Stato a Stato ma che non può che essere europeo, quando non globale.
Con grande entusiasmo abbiamo accettato l’invito degli European Green a partecipare, sia per il riconoscimento della serietà del lavoro che portiamo avanti sui temi della giustizia climatica e sociale, sia perché come sempre è stata un’importante occasione per rinnovare il nostro interesse e l’impegno che mettiamo da sempre in una politica ambientalista, progressista, che guardi a soluzioni di lungo periodo e affronti con uno sguardo e un linguaggio contemporaneo e scientifico le cosiddette real issue, le grandi questioni che incidono sulla vita delle persone e a cui è la politica che deve dare delle risposte, per non perdere la sua ragione di esistere.
La assoluta evidenza che non sia possibile separare giustizia climatica da giustizia sociale ha attraversato tutto il dibattito, così come la necessità che la transizione energetica e ogni altro cambiamento debbano essere attuati con provvedimenti che non amplino ulteriormente il divario socio-economico e non vadano ad acuire le disuguaglianze, anche territoriali (tra nord e sud, fra centro e periferia o tra città e campagna). Ecco perché non ci ha stupite sentire parlare di salario minimo (“adeguato”, perché di approvazione di un salario minimo si parla al passato per quasi tutti i paesi d’Europa, salvo poche eccezioni tra cui l’Italia), di reddito di base (sopra la soglia di povertà), di redistribuzione e di tassazione dei grandissimi patrimoni (“Tax the rich”). Con una particolare, urgente attenzione al diritto alla casa, la grande questione che da ogni parte d’Europa è centrale per i cittadini e le cittadine, in molti casi con una parabola che arriva da lontano e che è precipitata durante e dopo la pandemia (non a caso, con la nuova crisi energetica in corso, si è riparlato della necessità di misure simili a quelle adottate durante i lockdown). È un’urgenza che abbiamo individuato anche noi come centrale, nel confronto con i comitati di Possibile in tutta Italia che abbiamo avviato dopo le elezioni di fine settembre. Città come Milano e Padova hanno già avviato il lavoro sul tema, che occuperà parte della nostra azione politica nei prossimi mesi.
In un’ottica europea, è fondamentale la necessità di dimostrare la capacità dell’Unione di incidere in modo efficace su tutte queste questioni: da una parte servono soluzioni veramente europee, non per un’astratta idea di Unione, ma per ragioni anche molto pratiche (un esempio potrebbe essere la proposta dell’acquisto comune europeo di energia, se servisse ad avere condizioni ancora migliori di un eventuale tetto al prezzo), e dall’altra è necessario che le politiche già date per acquisite raggiungano tutti gli Stati membri (torniamo all’esempio del salario minimo).
Il tutto in un contesto di grande respiro e attenzione sulle questioni di genere e della comunità lgbtiq, sia nel dibattito vero e proprio e nell’impegno sulle campagne nazionali ed europee, sia per quanto riguarda la rappresentanza e la partecipazione: come abbiamo sempre cercato di fare anche nella nostra pratica politica, all’impegno programmatico trasversale e intersezionale su questioni che non si esauriscono in se stesse, ma riguardano ogni aspetto (il lavoro, il diritto alla salute, la selezione della classe dirigente…) va affiancato lo spazio per tradurlo in effettiva partecipazione.