Soltanto una logica demenziale può contrapporre i terremotati ai profughi. Se c’è una cosa che li accomuna è non avere più una casa, averla vista per ragioni diverse distrutte. Come parte della loro vita, come parte della loro famiglia.
Il resto è una contrapposizione strumentale come poche altre, che gioca su elementi che sono diversi e non comparabili, sulla base di una fallacia argomentativa che avvicina cose che sembrano somigliarsi e che quindi funzionano nella conversazione polemica.
Il sostegno alla ricostruzione e l’ospitalità ai terremotati non hanno niente a che fare con il rifugio offerto a chi arriva nel nostro paese. Sono argomenti ben distinti, da trattare con strumenti e risorse differenti: la logica secondo la quale gli interventi si escluderebbero a vicenda è inefficace, oltre che inumana.
Eppure il discorso pubblico scava lungo questo solco e lo fa per voce dei soliti noti, come Roberto Maroni (ministro dell’Interno quando ci fu da gestire la ricostruzione de L’Aquila, per dire), che ha proposto di mettere a disposizione il campo base di Expo per gli sfollati italiani, invece che per i profughi stranieri. Come se uno spostamento di massa alle porte di Milano fosse la soluzione. Come se l’accoglienza di alcuni escluderebbe quella degli altri. Come se lo scontro tra chi è più in difficoltà non faccia male a tutti quanti.
Quello che ci aspettiamo è una gestione della crisi dovuta al terremoto che si metta (questa sì!) in contrapposizione rispetto agli affari, alle mire e ai ghigni degli specialisti dell’emergenza. E soprattutto che l’emergenza finisca presto, che la ricostruzione avvenga senza lasciare spazio a deroghe, ma attraverso il rispetto puntuale e celere delle norme.