Le armi come un fatto politico. Un tema che nel Paese reale è concreto, perché in Italia pistole e fucili aumentano, mettendo a rischio la vita di molti italiani: lo raccontano le cronache piena di vittime per “armi legalmente detenute” e lo si capisce dall’imbarbarimento sociale. A Siena giovedì, con la segretaria di Possibile, Beatrice Brignone, e a Mestre venerdì con Don Albino Bizzotto dei Beati i costruttori di pace, c’è stata una intensa due giorni di Addio alle armi: due incontri in cui la campagna è uscita dal web, dai social — che restano ovviamente strumenti preziosi e anzi necessari — per raggiungere le persone da vicino. Con un obiettivo semplice e allo stesso ambizioso: spiegare cosa significa un Paese che diventa sempre più armato. E significa una cosa sola: diventa più pericoloso.
Addio alle armi, in questi dibattiti pubblici, è stata presentata come un’iniziativa culturale, un lavoro in profondità, come se fosse un’operazione intellettuale. Può anche esserlo, e non ci sarebbe nulla di male. Ma è bene ribadire un altro aspetto: parlare di riduzione delle armi è una questione politica, strettamente legata alla sicurezza. Basta volgere lo sguardo a destra, molto a destra, per capire come qualcuno lo abbia capito bene, tanto da edificarci parte del suo consenso: Matteo Salvini ha martellato, in maniera incessante, sulla necessità di riformare la legittima difesa, strumentalizzando singoli episodi e alimentando la paura con una narrazione densa di mistificazioni. Ecco, in questi due giorni tra Toscana e Veneto, è venuta fuori una certezza in più, come ha sottolineato Don Albino Bizzotto: serve un racconto diverso. Opposto. Che parli di pacifismo e di disarmo non solo a chi già ha queste idee. Una nuova narrazione che spieghi, con una campagna fatta di documenti e dati e non mistificazioni propagandistiche simil leghiste, come si possa vivere meglio in un Paese con meno pistole negli appartamenti.
L’impegno politico contro le armi è quindi fondamentale, un elemento costituente per la sinistra di oggi e ancora di più per quella di domani. Un lavoro che può essere portato avanti in tanti modi. Magari informando i cittadini del fatto che oggi una persona con problemi mentali può avere una licenza per detenzione di armi o, per esempio, evidenziando che le vittime per “armi da fuoco legalmente detenute” siano di più rispetto a chi perde la vita durante una rapina. E sicuramente esistono tanti altri aspetti che si possono mettere in risalto. Ma serve un impegno politico, di tutti, occorre la voglia di indossare gli scarponi per sporcarsi nel fango della propaganda leghista, quella che lascia credere che un Paese armato è più sicuro. Occorre, insomma, la volontà di spendersi su temi reali, sfidando le lobby, che è sicuramente più faticoso della comfort zone dei convegni sul futuro del progressismo.