Di Salvo Ognibene
Referendum costituzionale, che cosa ci aspetta? Non è un segreto che il presidente del Consiglio e segretario del Partito Democratico abbia deciso di personalizzare un referendum che di privato non ha nulla e che ci riguarda tutti. Anche quelli che voteranno per la prima volta solo tra qualche anno. Ora, lasciando stare da parte propagande e populismi e soffermandoci sul testo della riforma costituzionale “Renzi-Boschi” è innegabile notare quante differenze sono presenti tra l’attuale e il nuovo testo proposto.
Gli inciuci, che non sono iniziati certo ieri, potrebbero aumentare in caso di vittoria del SI a differenza del pensiero del presidente del Consiglio che dice: “se vince il No, sarà il paradiso terrestre degli inciuci”. Rimane la paura di sapere che molte materie potrebbero diventare di potestà statale e tolte alle regioni e ai comuni contrariamente a quanto stabilito in un passato non troppo lontano. La paura di trovarsi dei consiglieri regionali che per sfuggire a qualche processo si vadano a rintanare nel Senato e godere di quella immunità parlamentare tanto abusata. E anche sulla legge elettorale c’è molto da preoccuparsi, in un modo o nell’altro. Per non parlare di quella scelta di evitare le preferenze per eleggere i nuovi parlamentari, con le conseguenze che ne comporta.
Un Senato che in caso di vittoria del SI passerà dai 315 ai 95 seggi di cui 74 riempiti dai consiglieri regionali, 21 dai Sindaci e 5 nominati dal Presidente della Repubblica per 7 anni. Un mandato, quello da espletare a Palazzo Madama, che coinciderebbe con quello degli organi delle istituzioni territoriali dai quali i futuri senatori sono stati eletti. Un doppio mandato, insomma. E se questi devono partecipare alle sedute dell’assemblea e ai lavori delle commissioni come faranno a stare sul territorio? E i Sindaci? Ancora peggio. Un Senato che eliminerà il voto dei cittadini e che, svilito del suo ruolo, potrà essere utilizzato come un rifugio per i referenti politici delle mafie, quando, ovviamente, non verranno inseriti nelle liste per la Camera designate dai partiti.
Per carità, in questa riforma ci sono anche diversi punti positivi ma la realtà è che non sono queste le riforme di cui l’Italia ha bisogno e che questo Governo non aveva e non ha i numeri per modificare la Costituzione. Li ha trovati solo con accordi al limite della blasfemia con Verdini e la sua “Ala” e con quell’intoccabile Alfano che alla sua prima esperienza politica baciava il defunto boss di Palma di Montechiaro e che ora si ritrova ad essere Ministro dell’Interno. E questo ce lo raccontano, tra le altre, anche il recente caso che ha coinvolto la sua famiglia (in senso stretto, s’intende).
Avrei preferito altre riforme. Avrei preferito che questo Governo si fosse occupato seriamente di tutto quel denaro che giro attorno alle mafie e alla loro economia. Eppure ci ritroviamo a votare un referendum che può cambiare l’Italia, in peggio. Un referendum levigato su quell’ormai prodotto pubblicitario di un mercato politico che è diventato reale negli ultimi anni e che non risolve né affronta quell’eredità del debito e della corruzione che portano l’Italia ad essere l’ultima ruota del carro di un Europa avvelenata dai nazionalismi e rischi per la democrazia.