Ciò che ho cercato di dire ieri all’incontro promosso da Bin Italia su welfare e reddito minimo e altre questioni ad esso collegate:
In una giornata come quella di oggi i nostri interventi dovrebbero rappresentare l’alternativa, la diversa prospettiva rispetto a quella messa in campo dalla maggioranza e dal Governo. Ma è impossibile, perché il governo non ne ha, di prospettive, su questo punto soprattutto, né le sue politiche le lasciano intravedere.
Ma se non si può parlare di una vera e propria idea o strategia, rispetto al mondo del lavoro, si può intravedere la cultura che fa da substrato all’azione del Governo.
Un’azione fatta di bonus (di mancette, direbbe qualcuno), di interventi spot, che escono bene sui titoli dei giornali o nei tweet, ma aumentano la disuguaglianza e fanno saltare la progressività. Un’azione basata sulla generosa distribuzione di concessioni e apparenti regalie (apparenti perché i soldi sono ovviamente dei contribuenti).
Cose da accettare con un sorriso e un grazie, senza tante storie, perché a caval donato non si guarda in bocca. Colpi di fortuna da prendere come vengono e stare zitti, non si sa mai. Perché così come ti sono state date, ti possono essere tolte, quindi meglio stare al proprio posto e fare gli scongiuri. Bonus a nulla, capaci di tutto.
Ecco, in questo una differenza è evidente, noi vogliamo rappresentare una cultura diversa. Noi preferiamo parlare di diritti da riconoscere, a tutti, sempre. Non di concessioni, che possono capitare a questo o quello sulla base di una casualità che sarebbe pura se non fosse elettoralistica.
Ai bonus noi preferiamo la progressività, per dare le stesse opportunità a tutti, non solo a chi ha pescato il numero fortunato o la giusta carta negli imprevisti del Monopoli.
Alle mancette preferiamo la redistribuzione. Mi colpisce vedere festeggiare per i 500 euro a tutti i diciottenni, senza distinzioni (!), come se fosse giusto. 500 euro dati anche ai figli dei parlamentari invece di 5000 a chi non può pagarsi l’università è una cosa che grida vendetta.
Eppure è quella, la visione necessaria. Un orizzonte più ampio, sia in termini temporali, che geografici.
Perché non c’è una strategia neanche nel rapporto con i partner europei. Si insiste a chiedere lo zerovirgola da buttare negli interventi una tantum di cui sopra, invece di chiedere di avere dall’Europa in Europa un reddito minimo, come tanti paesi, quasi tutti, benché in forme diverse già hanno. Una politica fiscale comune, specie riguardo alle multinazionali e in particolari quelle tecnologiche. Una politica del lavoro comune, perché la guerra tra poveri si combatte anche su questi terreni.
Abbiamo perso molti anni soprattutto perché non abbiamo costruito una struttura amministrativa, i job centre, le politiche complessive che devono precedere ogni elargizione di denaro pubblico. Non abbiamo messo in campo una sperimentazione né una strategia, se non tardiva e parzialissima. E la parzialissima misura del governo contro la povertà è solo un “falso amico” della nostra battaglia sul reddito minimo, che in realtà la sposta più in là, senza affrontarla.
Oltre a ciò c’è da mettere in parola e poi in politica e quindi in legge il tema della trasformazione.
Ma dobbiamo appunto allargare gli orizzonti anche in senso temporale.
Prepariamo tempi migliori. Facciamolo pensando al futuro che ci attende. Un futuro che dobbiamo ripensare completamente.
C’è un elefante robot, nella stanza. L’automazione è una realtà che stiamo totalmente sottovalutando. Secondo l’università di Oxford, entro vent’anni circa la metà dei lavori (di ogni tipo) sarà svolta da robot (a cui si aggiungono i parlamentari-robot nominati con l’Italicum, potremmo dire). Cosa faranno tutte le persone che verranno sostituite? Amazon decuplica i suoi dipendenti, certo. Ma il suo sistema spazza via la concorrenza e l’indotto, eliminando molti più posti di lavoro di quanti ne potrà mai creare. Siamo certi che tutto questo sarà recuperato in termini di ore lavorate (e retribuite) per altrettanti esseri umani? Non si sa. Ciò che si sa è che ci vorranno in ogni caso forti investimenti nell’istruzione e nella ricerca, se vorremo avere posti di lavoro inevitabilmente più qualificati di quanto non siano ora.
Ce la prendiamo con i lavoratori a basso costo che ci rubano il lavoro, ma ciò accade perché non si rispetta l’articolo 36 della Costituzione che prevede una giusta paga e perché non esistono i controlli. E però quando arriveranno altri robot costeranno meno anche degli stranieri che tanto ci preoccupano.
Certo oggi il premier dice che 100.000 persone lavoreranno al Ponte sullo Stretto. Che cos’è, un ponte umano?
Nella famosa Silicon Valley che tutti citano, si parla da tempo (e si sperimenta) l’idea di un reddito minimo universale. Ecco, magari ci possiamo arrivare un passo alla volta, ma dobbiamo cominciare a ragione di queste cose con serietà.
Affrontare la realtà per quella che è, che si sta trasformando e si è trasformata già, quella che ha trasformato la precarietà in schiavitù, secondo Giovanni Arduino e Loredana Lipperini. Non solo chi lavora come schiavo ma chi come schiavo legge e interpreta i fenomeni produttivi e sociali.
Propongo che Peppe Allegri sia indicato come ministro ombra — purtroppo, temo, senza portafogli — del reddito. E che si faccia l’alleanza tra tutti quelli che lo vogliono fare, come si deve, con i soldi necessari, con le politiche che lo rendono possibile. In un quadro politico più generale, che ci riporti alla progressività, alla redistribuzione, alla possibilità che le trasformazioni tecnologiche — che riducono la fatica e le ore del lavoro — possano dare benessere non solo ai pochissimi che sono padroni (dei robot) ma alla moltitudine che deve poter vivere con dignità.