[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1507560355469{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]Quando si torna a votare, ci si chiede se i programmi di partenza, con cui le forze politiche si sono presentate alle precedenti elezioni, siano stati rispettati.
Nel 2013 il programma era stato per la prima volta nella storia italiana sottoscritto non solo dai candidati, ma anche dagli elettori, all’atto della partecipazione alle primarie: era la Carta d’intenti, che divenne la base del programma elettorale presentato per la competizione elettorale.
Purtroppo, dopo elezioni con un esito non chiaro, caddero nel vuoto gli appelli a fare come in Germania, a chiedere ciò un parere sul da farsi agli iscritti e agli elettori che avevano votato alle primarie, come sarebbe stato opportuno fare, sotto ogni punto di vista. Furono mesi di instabilità e di vera e propria confusione che culminarono con la rielezione di Napolitano e il varo, precipitoso, del governo delle larghe intese.
Larghe intese che sarebbero dovute durare due anni, per le ‘riforme’ e che poi, dopo qualche mese, furono rilanciate proprio dall’outsider che avrebbe dovuto porre fine ad esse, stando a un altro programma elettorale, quello delle primarie per le elezioni del segretario del partito di maggioranza relativa.
Larghe intese che non si diedero mai un programma definito, lasciando al dibattito interno tra Pd e Forza Italia prima e tra Pd e i transfughi di Forza Italia poi la definizione dell’agenda.
Il programma del 2013 è rimasto intonso. Nessuno ha inteso leggerlo più, né consultarlo per capire che cosa fare per un’intera legislatura. Certo, ci diranno, le larghe intese portano inevitabilmente alla riformulazione degli impegni dei diversi schieramenti. Ciò non giustifica ovviamente la loro durata (cinque anni), né la considerazione che non era proprio il caso di rovesciare quel programma con cui si erano presi i voti, a cominciare dalla vicenda più importante e dagli esiti clamorosi, la riforma della Costituzione. Un rovesciamento ostinato, quasi scientifico, se è vero che sulle principali questioni politiche — dal lavoro al fisco, dall’immigrazione all’ambiente — si è fatto non qualcosa di diverso, ma proprio il contrario.
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