[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1499591775895{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]C’erano diecimila persone, ieri a Pesaro, alla manifestazione dei no-vax (o free-vax, come si definiscono loro) contro il decreto del ministero della Salute sull’obbligo di vaccinare i bambini prima dell’iscrizione a scuola. Non un oceano, ma nemmeno pochi, specie in questi tempi di disimpegno. Questo nel weekend in cui la notizia più discussa è stata l’uscita razzista del segretario del Pd, quelle righe estrapolate dal suo libro in uscita in cui si dice che “noi non abbiamo il dovere morale di accogliere in Italia tutte le persone che stanno peggio. Ma abbiamo il dovere morale di aiutarli. E di aiutarli davvero, a casa loro”.
Una posizione di una gravità senza precedenti, anche per chi ancora nel Pd ripone residue speranze progressiste, che lo stato maggiore renziano ha cercato di minimizzare spiegando che si è trattato di un problema di comunicazione. Dimostrando che ormai non c’è più la capacità di distinguere tra marketing e politica, perché la questione che andrebbe affrontata con le armi della comunicazione è quell’altra, quella riguardante i vaccini.
Poiché infatti la posizione dei no-vax germoglia nella sfiducia verso le istituzioni e matura all’ombra delle fake news che diventano virali, sarebbe stato strategicamente intelligente impostare una serie di campagne di medio e lungo periodo: pubblicità e contenuti di facile diffusione e fruibilità per spiegare la storia delle vaccinazioni, i suoi benefici, le storie di chi ne ha potuto sperimentare la validità dopo diffidenze e paure; nuovi strumenti divulgativi e corsi di aggiornamento per il personale medico che, lo ricordiamo, deve per deontologia al paziente un surplus di ascolto e di sensibilità nell’approccio; nuovi strumenti educativi in senso stretto, pensati per aiutare gli insegnanti proprio lì dove il problema rischia di diventare pericoloso, ovvero a scuola.
Poteva essere l’occasione per riabilitare la funzione educatrice delle istituzioni, a partire da quel ministero della Sanità che proprio sulla comunicazione aveva prodotto la “campagna inguardabile” (Renzi dixit) sul già discutibile Fertility day. Invece no, il segretario del Pd ha preferito organizzare una propria convention invitando un medico divenuto celebre per l’aggressività con cui tratta la questione vaccini sui social network, una condotta che più esponenti dell’ambiente medico e scientifico hanno giudicato controproducente e non professionale.
Questo sì, quindi, è un problema che andrebbe affrontato con gli strumenti della comunicazione. L’altro? L’altro no, purtroppo.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]