Che ne dite di cominciare da “la pace nel mondo” per raccontare i contributi che abbiamo ricevuto finora? Ho ricevuto diverse mail che hanno come filo conduttore un tema che, detto così, rischia di risultare banale, perché la pace è stata banalizzata, in questi anni. È stata vissuta o come argomento radical chic, o come capriccio da giovani che frequentano i centri sociali, o è stata messa sempre all’ultimo punto dell’agenda, appena prima o appena dopo l’ambiente.
Le proposte che ci sono arrivate hanno, al contrario, un grande pregio: guardano alla pace e all’armonia – nella nostra società e nelle relazioni internazionali – partendo dalle esperienze vissute e cercando strumenti per migliorarle. Dal particolare al generale.
Samuele da Rimini, ad esempio, propone una riflessione partendo dal ruolo che ricopre il Servizio civile, che “ha conosciuto una crescita rilevante tra il 2002 e il 2007 quando il numero di posti disponibili arrivava a toccare quota 51.273. I tagli drastici hanno però ridotto i posti disponibili fino agli appena 20.157 del 2011, a fronte di una richiesta stabile che si attesta sopra le 80.000 domande. Il biennio 2012–2013 ha peggiorato ancor di più la situazione: un’ulteriore decurtazione dei fondi diponibili ha portato al blocco operativo, lasciando un anno di vuoto del Servizio Civile, consentendo l’avvio di appena 15.000 giovani in Italia e 450 all’estero”. Perché tornare a investire nel Servizio civile? In primo luogo per ragioni meramente economiche, dato che “per ciascun volontario impiegato, a fronte di un investimento medio pari a 3.236 €, si riscontrano benefici pari a 19.863 €”. In secondo luogo per ragioni che non sono quantificabili in euro, perché “i giovani, universalmente, dovrebbero avere la possibilità e lo stimolo ad assumere volontariamente, e con orgoglio, l’impegno civico di dedicare un periodo della propria vita a beneficio della collettività, per poter contribuire, indipendentemente dalle proprie capacità e con azioni concrete, ad una modalità di difesa della patria ‘vitale’, che si fonda sulla condivisione di valori universali e fondanti dell’ordinamento democratico, che costruisce coesione sociale e si pone ‘a difesa attiva’ di quanto è più debole, fragile e a rischio. Senza confini e senza bandiere”. Di quali cifre parliamo, per sostenere un investimento di questo tipo? “Sarebbe già estremamente rilevante – prosegue Samuele — garantire almeno un contingente minimo di 40.000 avvii annuali, con un costo annuo di circa 240 milioni di euro. Sarebbe meno di un quinto di quello che l’Italia spende per le sole missioni “di pace” all’estero tenendo impegnati poco più di 7.000 militari effettivi”.
Silvano, Segretario Regionale Veneto del Siulp, insiste sull’attualità, sottolineando come “la Legge di stabilità in discussione preveda una ennesima serie di tagli lineari al bilancio del Ministero dell’Interno. Una scure che, per converso, non colpisce le spese militari: la pressione dei potentati militari ha fatto in modo che per la famigerata operazione ‘Strade Sicure’ sia stato previsto un rifinanziamento di 40 milioni di euro”. Come ricorderete, “si tratta dell’impiego delle pattuglie dell’Esercito nel controllo del territorio in affiancamento alle Forze di Polizia, una tra le tante fallimentari iniziative adottate dal Ministro Maroni e sostenuta dal suo collega La Russa che in termini di contrasto alla criminalità si è rivelata poco più che un placebo”. Allo stesso modo “si potrebbe porre in rilievo il consistente stanziamento che prevede per l’acquisto di nuovi navi da guerra con mutui ventennali, malcelati nelle pieghe del bilancio del Ministero delle Attività Produttive, per non parlare poi degli F35: con il costo necessario per comperare uno di questi aerei sarebbe possibile acquistare ben 5.000 nuove Volanti equipaggiate per il controllo del territorio. E quindi, in buona sostanza, in un colpo solo si potrebbe rinnovare l’intero parco auto della Polizia di Stato, oggi in condizioni penose”. In conclusione, quando si parla di sicurezza, irrita “la cieca insistenza sui tagli lineari, senza che mai si sia in alcun modo compiuto il minimo sforzo per individuare possibili risparmi. E da risparmiare ce ne sarebbe parecchio, se è vero che per la Sicurezza l’Italia spende quasi 3 punti di PIL in più della maggior parte dei partner europei, ottenendo risultati nemmeno lontanamente comparabili”.
“Qual è l’approdo del nostro agire?”, si chiede poi Raffaele da Forlì, che immagina “il superamento dell’esercito attraverso la sua trasformazione in un corpo di protezione civile per intervenire sulle vere emergenze umanitarie; la gestione, trasformazione e soluzione dei conflitti attraverso l’utilizzo dei Corpi Civili di Pace, formati alle metodologie di azione non armata e nonviolenta; un Corpo di polizia internazionale armata per interventi mirati nel tempo e con obiettivi e poteri ben definiti che si muova sotto l’egida dell’ONU, svincolato dal diritto di veto”. Siamo sognatori, ed è bene esserlo, ma siamo anche realisti, e perciò “come primo passo per raggiungere questo traguardo sono necessarie diverse tappe, come avere una politica estera e di difesa ‘tradizionale’ a livello di Unione Europea, e dotarsi di armamenti che non abbiano caratteristiche prettamente offensive, così come incominciare a strutturare l’operatività di Corpi Civili di Pace”.
Andrea da Varese ci ricorda che abbiamo in noi tutte le caratteristiche per, “attraverso il consolidamento delle esperienze e le capacità esistenti, rinnovare l’identità, il ruolo e le modalità della Cooperazione allo Sviluppo e Intervento Umanitario dell’Italia”. Si tratta di una storia che ben conosciamo, che va indietro negli anni, anche a causa della posizione geogragica che occupiamo e che ha fatto sedimentare in noi una “profonda dimensione multiculturale, tollerante e solidale. Nel corso degli anni, con coraggio e volontà le istituzioni italiane, la società civile, i suoi cooperanti e operatori umanitari hanno saputo trovare soluzioni per interventi umanitari e la risoluzione dei conflitti che hanno avuto grande impatto per alleviare le sofferenze di milioni di persone. Dopo anni di insabbiamento politico e burocratico queste capacità, etica e coraggio devono nuovamente essere il motore dell’azione Italiana”. Al contrario, al momento, “malgrado la firma di trattati internazionali, gli stanziamenti dell’Italia per interventi umanitari e di cooperazioni hanno raggiunto livelli bassissimi, mettendo a repentaglio la vita di milioni di persone che ne beneficiavano. Bisogna quindi, attraverso misure coraggiose, lentamente ripristinare gli stanziamenti per dare un senso sostanziale alla politica di cooperazione, migliorare le condizioni nei Paesi in via di sviluppo ed acquistare un ruolo migliore nello scacchiere internazionale”.
Catone risponde #1