Far di virtù, necessità. Ormai inderogabile, nell’Italia delle cento città, mettere in comune le buone pratiche locali, far sì che non siano casi isolati di cui parlar bene nelle occasioni pubbliche, ma un modello che possa diffondersi a macchia d’olio e capillarmente, dall’eccezione alla regola, verso un nuovo modello di sviluppo. Di questo ‑soprattutto- si occupa l’associazione dei Comuni Virtuosi, fondata nel 2005 a Monsano nelle Marche, e coordinata fin da allora da Marco Boschini, assessore all’ambiente nel Comune di Colorno (Parma): assomma oltre settanta realtà, che del buon vivere assieme hanno fatto un paradigma comunitario. Quasi tutte di dimensioni medio-piccole, però, al momento: «L’esperienza dei Comuni Virtuosi — dice Boschini — dimostra che si può cambiare ovunque, che le azioni ambientalmente sostenibili si possono perseguire al nord come al sud, in tutte le situazioni morfologiche e condizioni sociali. Se questi progetti non si riescono a fare nelle grandi città italiane è per un ritardo prima di tutto culturale di gran parte della nostra classe dirigente locale. In giro per l’Europa ci sono grandi centri che hanno messo al centro politiche di mobilità sostenibile (Amsterdam, Parigi, Londra solo per citarne alcune), la strategia rifiuti zero parte da San Francisco dove già oggi sono all’80% di raccolta differenziata, si tagliano i consumi energetici e si ferma la cementificazione selvaggia del territorio. In Italia i sindaci delle metropoli sono spesso “distratti” dalle loro legittime aspirazioni politiche: fanno cose in fretta e molto visibili per creare consenso ed essere rieletti, o salire un gradino nella scala delle istituzioni. Queste scelte, applicate ai grandi centri, richiedono necessariamente tempi e strategie più lunghi rispetto alla scadenza di un mandato amministrativo».
Marco, uno dei tuoi libri si intitola “Nessuno lo farà al posto tuo”: intendi che le soluzioni spesso possono venire non dalla politica e dall’amministrazione, ma del singolo cittadino? «Penso innanzitutto che ognuno debba fare la propria parte, qualsiasi ruolo stia ricoprendo nella comunità: sindaco, cittadino, imprenditore, insegnante, genitore. Dobbiamo sottrarci dal ricatto di un modello di sviluppo che non sta più in piedi, e costruire, prima di tutto per noi stessi, un altro paradigma culturale che passa dalle nostre scelte quotidiane e dal nostro stile di vita. Poi, evidentemente, dobbiamo pretendere che la politica e le istituzioni nazionali facciano del proprio meglio per immaginare e realizzare un progetto complessivo, che si traduca in leggi, incentivi, norme che valgano per tutti».
Amministri una città in una zona ancora tutto sommato solida dell’Emilia. Come influisce il patto di stabilità a quei livelli? «Ho iniziato a fare l’assessore nove anni fa, negli ultimi anni lo scenario è mutato profondamente per gli enti locali, in peggio. Ci hanno raccontato per vent’anni la favola del federalismo, ti ricordi quel movimento vestito di verde che andava in giro a soffiare livore sulle istituzioni centrali dicendo che le risorse avrebbero dovuto essere gestite e controllate a livello locale? Bene, il federalismo è stato messo in pratica, solo al contrario. I sindaci oggi mettono le mani nelle tasche dei cittadini e trasferiscono gran parte delle risorse a Roma. E’ avvenuto un progressivo e costante svuotamento di potere gestionale dei beni e servizi pubblici (acqua e rifiuti, solo per citarne due) e con il patto di stabilità si è, nella sostanza, bloccata ogni attività degli enti locali. Il tutto senza fare distinzioni. Io ritengo sacrosanto imporre un taglio netto delle spese inutili e degli sprechi, ma credo sia giusto inserire criteri che premino chi è virtuoso anche da un punto di vista della gestione finanziaria. Se un comune è in attivo e ha ferme risorse che non può spendere non ha senso. Così come non ha senso che un comune che vuole spendere per risanare da un punto di vista energetico una scuola non può farlo, salvo poi spendere di più per la bolletta energetica. In tutto questo noi siamo in prima linea per rispondere alle esigenze ‑che sono spesso emergenze- dei cittadini, ai quali non è dato sapere di chi è la colpa di una crisi che sta mettendo molte comunità con le spalle al muro. Vedono aumentare le tasse al pari delle buche per le strade, ed è difficile spiegare loro i meccanismi perversi della burocrazia romana che congela le istituzioni locali a tutto discapito dei territori».
A bruciapelo: ma se molte di queste scelte erano a portata di mano, come mai gli altri enti e imprese non le hanno messe in pratica? Costi eccessivi, pigrizia o volontà di non avere nemici? «A livello locale l’ostacolo più grosso che per esperienza ho sempre incontrato è proprio la pigrizia. Manca la voglia, e la curiosità, di uscire dalla routine amministrativa e di provare altre strade, sperimentare, inventarsi soluzioni a problemi nuovi. Abbiamo dimostrato in questi anni come queste buone pratiche stiano in piedi anche da un punto di vista della sostenibilità economica. Inoltre creano posti di lavoro, anche meglio distribuiti perché capillari, e migliorano concretamente la qualità della vita delle persone coinvolte. Le imprese, da questo punto di vista, sono molto più avanti delle istituzioni. Ti faccio un esempio per tutti. A Marzabotto c’è un’azienda che ricicla i RAEE, i rifiuti tecnologici (monitor dei computer, televisori, neon). Sono leader mondiali nel riciclo delle lavatrici: riescono a recuperare fino al 98% dei componenti. L’azienda è stata realizzata su un’area industriale dismessa, ed è praticamente autosufficiente da un punto di vista energetico. Tutela del territorio, occupazione per 40 dipendenti, sostenibilità, e un bilancio in attivo grazie ai riuso dei cosiddetti rifiuti. Cambiare è davvero possibile».
Cosa ti convince di più, nel documento congressuale che sostiene la candidatura di Giuseppe Civati a segretario nazionale del Partito Democratico? «Tutte le buone pratiche locali che si sperimentano in modo frammentario in giro per l’Italia da un decennio, trovano nella mozione di Pippo una sintesi nazionale, e possono diventare davvero il nuovo paradigma attraverso il quale provare a declinare l’idea di un Paese diverso. Sobrio e sostenibile, inclusivo e accogliente. Un posto migliore, per tutti, in cui valga la pena vivere».
#Civoti 17: Marco Boschini