Speranza e istruzione, territorio e futuro: la visione di Andrea Ranieri è molto chiara, reale, tangibile. Già segretario regionale della CGIL Liguria, senatore e infine assessore alla cultura, università e sviluppo dei saperi del Comune di Genova, ritiene che il problema dell’istruzione in Italia sia assolutamente centrale: “oscilliamo tra l’ultimo e il penultimo posto nelle classifiche OSCE sulla percentuale di spesa pubblica per l’istruzione rispetto al PIL, questo è il vero spread dell’Italia: abbiamo il minor numero di laureati e il più alto numero di laureati disoccupati, perdiamo posti di lavoro a più alta qualificazione e abbiamo un modello di sviluppo a bassa intensità di conoscenza” mi dice, e continua allargando il problema a “quel sapere che dovrebbe essere priorità per tutti, soprattutto in tempo di crisi: dobbiamo combattere l’analfabetismo di ritorno.”
Guardando ai giovani che espatriano, ritiene che il vero problema sia “da un lato una generale bassa qualità del nostro sistema di produzione di merci e servizi, che richiede pochi laureati, dall’altro una sostanziale autoreferenzialità del sistema italiano: gli stranieri non vengono a fare ricerca in Italia per queste ragioni, le stesse che disincentivano i giovani a rimanere” e che sia in ogni caso necessario aprirsi al mondo, mantenendo salde le proprie radici.
Quelle radici che hanno reso imprenditori quali Adriano Olivetti, cui ha dedicato un recente articolo su Il Manifesto, uomini per cui “la ricchezza è reale solamente se si traduce in cose che rendono il proprio territorio migliore. Egli ha preso un vecchio cotonificio dismesso, e lo ha trasformato nella fabbrica della Lettera 22. Quella Lettera 22 che aveva come slogan “Questa macchina viene da Agliè”: un paese che dimentica le proprie radici non ha futuro.”
Riguardo la presunta dicotomia tra sindacati e imprenditori, ritiene che “sindacati deboli siano un male: a questo solitamente corrisponde una riduzione dei redditi dei lavoratori e un aumento delle diseguaglianze” ma, al contempo, “il rapporto tra impresa e sindacati possa non essere a somma zero: gli investimenti in sapere e ricerca, una via alta allo sviluppo, possono tenere insieme competitività e coesione sociale.”
Tornando al partito, ritiene che Giuseppe Civati possa essere colui che porterà un “profondo rinnovamento nel PD: una sinistra fuori dai vecchi schemi ma che mantiene fermi punti imprescindibili quali uguaglianza, equità, dignità della persona e non il mercato come centro della vita delle persone.”
Fortemente legato alla sua terra, la Liguria, che ha affrontato questioni che hanno modificato fortemente il territorio (dismissioni delle partecipazioni statali, crisi del Porto di Genova), ha nel cuore quella “conoscenza concreta di chi ha vissuto davvero la Liguria: il saper fare della testa è il saper fare delle mani” e la consapevolezza che “Genova, nel mondo, è oggi soprattutto Fabrizio de André e Don Gallo: quando vedo turisti nei vicoli che cercano Via del Campo mi rendo conto che loro hanno fatto della mia terra un’immagine di poesia e solidarietà famosa ovunque.”
Gli chiedo, per concludere, un motto che lui sente caro; mi risponde con una frase che gli ripeteva sempre Vittorio Foa, suo maestro, per ribattere a chi si ritiene indispensabile: “le cose possono andare male anche senza di te”.
Contro i personalismi, una risposta da tenere a mente.
#Civoti 06: Andrea Ranieri