“Non abbiamo nessuna strategia occulta — spiega Cosseddu — solo i nostri influencer, circa quaranta, che lavorano alla luce del sole, in positivo, e hanno nomi e cognomi, non sono mica ovetti” Chi si nasconde dietro la divisa da Superman dedicata al blog più tagliente della rete? Anima nera di Civati, fratello cattivo, disturbatore, spin doctor, colui che dice le cose che Civati non può dire. Ne abbiamo sentite di ogni, fino a quando non ha deciso di cominciare la sua personalissima “fase Zen”: fine delle discussioni su Facebook e su Twitter, basta con il fumo. Al via la campagna congressuale, con un budget limitato, è vero, ma con un sacco di entusiasmo a disposizione, da mettere a sistema, da registrare e organizzare.
Ecco l’attacco perfetto per questa intervista immaginaria. Immaginaria sì perché non avevamo voglia di fare un’intervista come tutte le altre 39 che abbiamo scodellato in questi mesi di #civoti: in fin dei conti si tratta pur sempre del nostro capitano. E allora mi sono fatto aiutare da Stefano Catone per fare qualcosa di diverso: raccontare qualche suggestione, qualche immagine. La prima che mi viene in mente è quella qua sotto.
Paolo parla a “Prossima Fermata Brianza” e tira fuori una bella metafora, quella del cambiare schema di gioco per ottenere l’effetto sorpresa e disorientare gli avversari. In fondo è una delle direttrici della campagna ma anche di tutto il lavoro con Pippo: cercare di andare Oltre, cercare di usare mezzi non convenzionali, perché quelli convenzionali ci sono preclusi o semplicemente per marcare lo stile diverso.
Già perché chi conosce Paolo sui canali sociali si sarebbe appunto aspettato una campagna aggressiva, come a volte gli è successo di essere sulla sua bacheca. E invece no: la campagna è stata pensata sulla linea della massima correttezza, del fair-play: La cifra voluta è una campagna pro e non una campagna contro.
“L’hastag #vinceCivati l’ho lanciato personalmente io, ieri pomeriggio: siccome ho solo tremila follower e non avevo mai suscitato nessuna tendenza, vuol dire che era destino… Va aggiunto che la guerra delle primarie si lotta ormai metro per metro e uccellino per uccellino: i renziani nello stesso pomeriggio, hanno provato a rispondere con un altro tormentone #lavoltabuona, che però misteriosamente non ha attecchito nemmeno un po’.”
Gli hashtag sono un simbolo. Il simbolo di qualcosa che avrebbe dovuto servire a trascinare il resto, perché di notte, nelle chat di Facebook, che è stata la nostra principale piattaforma di collaborazione, Paolo ti chiedeva “il pacchetto completo”, ovvero la mobilitazione dei referenti in piazza o agli eventi insieme alla mobilitazione sul web e sulle reti sociali: un modo per amplificare l’effetto delle campagne, delle azioni.
Lo stile appunto. Siamo tutti un po’ malati di politica ma Paolo lo è di più: il suo stile è quello di chi vuole raccontare una storia, con precisione, entrando nei dettagli, senza tralasciare niente, costruendo pezzettino dopo pezzettino. E allora si affida al collettivo, alla rete che abbiamo creato, alle persone incredibili che si sono messe a disposizione, per raccontare la ‘nostra’ storia.
Ecco perché alla fine di questa avventura, tra lunghe chiacchierate in hangout per decidere strategie e le telefonate infinite con Pippo, tra qualche cazziatone e parecchie esultanze, gli rimane solo un rimpianto: “Non potrei mai fare l’inviato di guerra. Per scrivere ho bisogno di tranquillità, di guardare per due ore la televisione e scaricarmi un po’. Stephen King ha detto più volte che scrive molte ore al giorno. Ecco, non ce la farei mai e poi mai, eppure, ora, non aver potuto scrivere durante questa campagna elettorale è la cosa che mi manca di più”.
#civoti 99: Paolo Cosseddu