Rita Castellani insegna economia all’università di Perugia, ma le esperienze a cui tiene di più sono quelle fatte in Europa, collaborando alla definizione di progetti a cui partecipavano Università e istituti di ricerca dei diversi paesi europei. Di formazione keynesiana, non ha mai abiurato, ma ritiene che che quel filone di pensiero debba essere seguito con tutti gli arricchimenti successivi, e anche con quelli ancora da costruire.
Rita tu definisci “patchwork” il nostro sistema di ammortizzatori sociali. Ci spieghi perché? “Il nostro sistema di strumenti per il sostegno al reddito è un insieme disomogeneo da ogni punto di vista. Discrimina i cittadini in base alla posizione lavorativa, all’età, al fatto che vivano o meno in famiglia. Persegue finalità disarticolate: il mantenimento del posto di lavoro, la supplenza a servizi sanitari carenti, il sostegno agli indigenti. E’ in capo a soggetti decisori ed erogatori disparati: l’INPS, l’INPS come erogatore per conto del Tesoro, il Servizio Sanitario Nazionale e Regionale, le Regioni, i Comuni. In alcuni casi l’oggetto della misura è il singolo cittadino (generalmente lavoratore o pensionato), in altri casi è la famiglia. Alcuni tipi di erogazioni sono a valere sulla fiscalità generale, altre hanno una base (più o meno larga) contributiva. E’ un sistema che abbiamo ereditato dall’impostazione ottocentesca e che non è mai stato sistematicamente ripensato, come invece è avvenuto in tutte le grandi democrazie europee dopo la Seconda Guerra Mondiale, dove il diritto al benessere è diventato costitutivo dello stato di cittadino. Al massimo si sono aggiunte misure specifiche, sulla base del susseguirsi delle emergenze del momento: l’ultimo esempio in ordine di tempo è la vicenda degli esodati.”
Questo che conseguenze comporta per i cittadini italiani? “Che il cittadino italiano alla nascita non ha certezza di reddito, per esempio, a meno che non nasca in una famiglia che può e vuole curarlo e mantenerlo. Così scopriamo con l’UNICEF che i bambini italiani, tra quelli dei trenta paesi OCSE, sono al venticinquesimo posto per risorse di reddito a loro destinate. Che crescendo, ha pochissime possibilità di studiare senza essere a carico della famiglia e non vede mai riconosciuti i suoi meriti in termini di maggiori opportunità. Che la sua (praticamente) unica possibilità di condurre una vita autonoma è trovare un lavoro: per questo si trova ad accettare lavori precari, malpagati e non corrispondenti alla sua professionalità. Insomma, un disagio diffuso ormai nella gran parte delle famiglie, che si trovano a supplire il welfare che non c’è, con le donne naturalmente sempre in prima linea; e un grandissimo spreco di risorse pubbliche.”
Tuttavia, una categoria coperta c’è: i pensionati, no? “Nel senso che sono quelli che usufruiscono di una erogazione certa di risorse, sì. Sono abbastanza stupita di questa insistenza che c’è stata sulle pensioni attuali, in larga parte ancora in regime retributivo, con i pensionati indicati come affamatori dei giovani. In realtà le pensioni davvero d’oro sono pochissime: trovare un modo di ridurle che non provochi interventi della Corte Costituzionale sarebbe saggio e, soprattutto, equo, ma certo di poco impatto sulle finanze pubbliche. E anche le pensioni d’argento, se vogliamo considerare tali quelle al di sopra dei 3000€ lordi, riguardano 860.000 cittadini, appena il 5% degli oltre 16 milioni di pensionati. Tuttavia, pensioni d’oro e d’argento assorbono il 17% della spesa pensionistica e costano intorno ai 45 miliardi di euro. Un intervento perequativo può e deve essere fatto. Ci sta pensando anche il governo, infatti, proponendo un contributo di solidarietà dalle pensioni sopra ai 6000€ lordi e la ripresa del recupero dell’inflazione solo per le pensioni più basse. Ma, anche qui, niente di risolutivo dal punto di vista della spesa. Il fatto è che i pensionati attuali sono tanti perché corrispondono alla generazione del boom demografico, perché la speranza di vita è cresciuta, perché il prepensionamento è stato utilizzato come ammortizzatore sociale. Tuttavia, per dirla un po’ cinicamente, entro dieci anni il problema è dimezzato, e tra vent’anni praticamente superato.”
Ma i giovani che le pensioni non le avranno? “Questo è “il” problema. Il fatto che nessuno si sia preoccupato della ricostituzione della catena contributiva per tutti quelli che hanno lavorato per anni senza versamenti, grazie a contratti di lavoro cosiddetti “anomali”, che ormai riguardano la maggioranza dei lavoratori. Ma qui torniamo alla questione iniziale: ripensare complessivamente il welfare come diritto a una vita dignitosa del cittadino. Inoltre, c’è un altro aspetto molto importante che attende una regolazione complessiva, dopo i disastri dell’epoca Sacconi-Tremonti, ed è quello dei fondi per le pensioni integrative, dato che chi è interessato dal regime contributivo può mobilitare metà del suo TFR in tale direzione (cosa che, precedentemente, non era consentita).”
Ma non sarà che, come al solito, si pensa alle grandi riforme e non si fa niente? “Non si fa niente, se non si ha il quadro complessivo e non si provvede a riforme che siano applicabili modularmente. Per esempio, la proposta di reddito minimo garantito come elaborata dal M5S, considerato in aggiunta a tutti gli ammortizzatori sociali esistenti per una spesa aggiuntiva di 20 miliardi di euro, mi sembra fatta per essere bocciata. Quanto all’impostazione, poi, per dirla con Stefano Sacchi, sembra scritta da un economista di Chicago.Ma se noi individuiamo un primo target negli inoccupati e nei disoccupati non coperti da altri assegni e fissiamo un reddito minimo mensile intorno ai 450€, non dovrebbero servire più di 7 miliardi di euro. Considerando che la spesa dello stato per forme “improprie” di sostegno al reddito, dalle pensioni di invalidità, agli assegni familiari, alle indennità di accompagnamento, ammonta a circa 35 miliardi di euro, penso di poter dire che ci sono gli spazi di razionalizzazione per far partire il reddito minimo garantito su una scala un po’ più ampia di quella, “sperimentale”, timidamente pensata dal Governo.”
Dicci di Civati. “Con Pippo ci siamo incontrati quattro anni fa, grazie alla sua curiosità di saperne di più su un approccio macroeconomico — quello keynesiano — passato di moda troppo in fretta. Da quell’incontro, l’identità di vedute non ha fatto che consolidarsi, insieme alla mia stima per un giovane davvero fuori dal comune.”
Un’ultima domanda: pensi che questo paese abbia gli anticorpi per un vero cambiamento? “Se non ce l’ha, se li deve dare, per parafrasare Don Abbondio. Ormai non credo ci sia molta scelta. Il problema è la minoranza, potente e resistente, quelli che sarebbero danneggiati dal cambiamento, quelli che nell’ultimo ventennio hanno approfittato di tutti gli strumenti leciti e illeciti per accumulare ricchezza, fino a ritrovarsi loro, il 10% delle famiglie italiane, a possedere il 45% del patrimonio nazionale. Mentre, dall’altra parte, il 50% delle famiglie non ne possiede che il 10%. E questo non è solo iniquo, è inefficiente. Se non si invertono le tendenze distributive in questo paese, nessuna ripresa sarà possibile.”
#Civoti 28: Rita Castellani