[vc_row][vc_column][vc_column_text]In una stanza buia, lo avrebbero «forzato a spogliarsi, entrare in una vasca d’acqua, rilasciando delle scariche elettriche tramite un teaser, fino a fargli perdere i sensi». E’ questo il tenore dei racconti riportati dai media croati in questi giorni, a testimonianza della violenza che la polizia di frontiera croata esercita su rifugiati e migranti.
Testimonianze, ricostruzioni e immagini potete trovarle qui.
Non si tratta assolutamente di qualcosa di nuovo. Un anno fa avevamo raccolto testimonianze dirette, recandoci sul posto, mentre alcuni mesi fa un dettagliato report di Amnesty International proponeva un quadro tanto drammatico quanto vergognoso di ciò che avviene al confine croato. Poche settimane fa la stessa presidente della Croazia Kolinda Grabar Kitarovic «ha di fatto ammesso che la polizia del paese è coinvolta nei violenti respingimenti».
Se non bastasse, di recente la giustizia Svizzera ha accertato che «la polizia di frontiera di Zagabria picchia, deruba e maltratta i migranti lungo la rotta balcanica». Racconta Il Piccolo:
La sentenza svizzera è di portata storica e crea una serie di problemi “a cascata”, soprattutto per la Slovenia che respinge i migranti in Croazia, non da poco. Tutto nasce dalla vicenda di un profugo siriano che ha lasciato il suo Paese in guerra nel 2017. Ha attraversato la Turchia, la Grecia e, attraverso la rotta balcanica è giunto in Svizzera dopo essere stato respinto dalla Croazia in Bosnia-Erzegovina per ben 18 volte. In una di queste occasioni, quando è stato catturato, è stato anche registrato proprio in Croazia e quindi immesso nel sistema europeo. Così quando è stato intercettato in Svizzera, la quale fa parte del sistema comune europeo di asilo, le autorità elvetiche volevano rispedirlo per l’appunto in Croazia. E qui la vicenda ha assunto i suoi risvolti giudiziari.
«La cosa più terribile — ha detto come riportato dal Dnevnik di Lubiana tratto dal dispositivo di sentenza — è stato quando i poliziotti croati mi hanno pisciato addosso». Con queste motivazioni la Svizzera negava il permesso a “dublinare” questo ragazzo siriano verso la Croazia, primo paese di accesso e quindi competente all’esame della domanda d’asilo.
Le ombre croate, inevitabilmente, si allungano su tutto il vecchio continente. Da un lato, per l’incapacità di garantire standard minimi di tutela dei diritti umani e, addirittura, di tollerarne palesi violazioni. Dall’altro lato per il fallimento, ancora una volta, dei meccanismi previsti dal regolamento di Dublino, che prevederebbero il rinvio verso paesi (la Croazia, in questo caso) dove le persone rischiano di subire trattamenti inumani e degradanti.
Inutile ricordare che queste persone, prima o poi, riusciranno a fare ingresso in un qualche paese dell’Unione europea. Molto probabilmente otterranno un permesso di soggiorno, cresceranno qui, avranno dei figli, saranno “naturalizzati”. E mentre noi parleremo di “integrare” i loro figli, di problemi con le seconde generazioni, nella loro testa resterà per sempre, indelebile, il ricordo di quando, bambini, un poliziotto gli fece pipì addosso.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]