[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1491314657635{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]La vicenda della bonifica del sito industriale ex Pertusola di Crotone ha una storia lunga e controversa, che inizia con una promessa: “le fabbriche non chiuderanno”. Correva l’anno 2000 e l’accesa campagna elettorale per le Regionali regalava questa perla di saggezza. Da allora, il polo siderurgico di Crotone è morto, inquinando più di quando era vivo. Ben 17 (diciassette!) anni non sono bastati per consegnare a questo territorio un piano di bonifica reale, che tenesse in considerazione l’interesse dei cittadini, la loro salute e le disposizioni europee (oltre che di buon senso) che prevedono una ricomposizione del danno finalizzato al ripristino dell’ambiente inquinato. In questo lungo periodo abbiamo assistito ad un susseguirsi di decisioni contrastanti, in cui la bonifica ha assunto la forma dell’acqua, in un continuo rimpallo di scelte tra Ministero dell’Ambiente ed Uffici Regionali. Al punto che l’ultimo decreto emanato dal Ministero ha deciso di effettuare una messa in sicurezza, chiamandola bonifica. Decisione alla quale il territorio non ha partecipato.
Ma la partecipazione non aspetta i tempi della politica. Quando non le viene concesso spazio, proprio come l’acqua, lei lo prende da se. Abbiamo già espresso, come Comitato e con autorevoli voci, con molta chiarezza che lo stallo in cui versa la bonifica lascia la cittadinanza nel forte dubbio che la mancanza di trasparenza sia propedeutico agli interessi di qualcuno a discapito del bene comune. Già in quella occasione abbiamo fatto presente l’esigenza di rispondere ai bisogni di tutti coloro che, insieme a noi, vogliono capire perché la partita sulla bonifica non si gioca a carte scoperte. La mancata attuazione di momenti di incontro, confronto, dibattito, è un segnale poco confortante per una comunità che vive con grande attenzione le dichiarazioni istituzionali, in un continuo rincorrersi di voci che non offrono contenuti affidabili. Ci saremmo aspettati, per un argomento torbido come questo, un palazzo di cristallo, la cui trasparenza potesse permettere, a chiunque volesse, di assistere in prima persona al controverso dibattito sulla rimozione dei maledetti veleni. Certo, eravamo al corrente che la democrazia partecipata è merce ancora rarissima ed infatti ci sarebbe bastato avere un posto da spettatori. Neanche questo è stato possibile fino ad ora.
A dimostrazione però che ormai la popolazione non vuole più attendere per scoprire chi bara con l’asso nella manica, il comitato spontaneo “La Collina dei Veleni” ha deciso di adire al TAR in merito al Decreto 18/STA del 3 Febbraio ’17, per portare tutti i protagonisti difronte alle loro responsabilità. È una scelta coraggiosa, che ha avuto il merito di incanalare tutti i soggetti, privati, associativi ed istituzionali che sono rimasti esclusi dalla elevata riservatezza, per certi versi immotivata, con cui Ministero, Regione e Comune governano questa delicata fase. È anche una scelta rischiosa, perché espone tutti gli attori al vaglio della magistratura, in un percorso procedurale certo e regimentato.
Nelle ragioni di questa scelta noi del comitato “Mediterraneo Possibile” leggiamo la chiara volontà di aprire un capitolo inedito, in cui creare uno spazio di realtà che respinga dubbi e confusione, perché è forte l’impulso a mettere da parte l’immaginazione.
Lasciamo a ciascuno la valutazione sull’opportunità o meno di aderire a questa iniziativa, ma non possiamo non evidenziare che questo ricorso è l’estremo rimedio in risposta al male estremo, un messaggio ben chiaro a chi ha ancora in mente di trattare questo territorio come colonia da conquistare con specchietti e lustrini colorati. Crotone ha a disposizione energie, competenze e professionalità capaci di tenere testa ai progetti al ribasso che la vorrebbero svilita e defraudata. Da questo Crotone deve partire se non vuole farsi piegare.
Davide Dionesalvi
Comitato “Mediterraneo Possibile” — Crotone[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]