Cultura, paesaggio. E quindi turismo. Beni che nessuno ci potrà sottrarre, che non possono essere delocalizzati, sui quali, però, troppo spesso abbiamo avuto incertezze.
Al contrario, “Il turismo è un asset strategico del nostro Paese — ci scrive il professor Paolo Pileri -. E’ un asset che nessuno ci può togliere perché intimamente legato al paesaggio, all’ambiente, alla cultura, alla cucina, al mare, alle città. Più o meno, ogni anno, sono cento milioni i turisti stranieri che arrivano nel nostro Paese, ma stiamo perdendo posizioni a livello internazionale: Berlino ha superato Roma per numero di turisti, ad esempio”. Il turismo, se ci si investe correttamente — può generare milioni di posti di lavoro. Sia sufficiente pensare che “nei soli primi otto mesi del 2012, i turisti stranieri hanno speso in Italia 22,5 miliardi di euro)”. Dobbiamo parlare di turismo, e dobbiamo dire che “nel futuro ci sarà più turismo, molto più turismo sostenibile e che interesserà i centri minori”. Il cicloturismo tiene assieme queste cose. Trattato come “capriccio per ciclisti” in Italia, “si tratta di una forma di turismo che si stima possa generare 44 miliardi di indotto ogni anno in Europa, a testimonianza che la bicicletta non è un vezzo per pochi fanatici, ma un motore di sviluppo verde. In Italia però mancano le grandi ciclabili, nonostante l’Europa abbia individuato delle dorsali che genererebbero un sacco di posti di lavoro. L’esempio è quello di VenTo, la ciclabile tra Venezia e Torino, che il Politecnico di Milano ha dimostrato che potrebbero generare 2000 posti di lavoro stabili e 100 milioni di euro/anno di indotto economico”.
Due pilastri su cui fondare tutto ciò, come dicevamo all’inizio. Un “patrimonio artistico e culturale che deve essere curato e rivalutato — scrive Irene da Londra — come una risorsa preziosa. Schiavi della ‘cultura dell’evento’, ci siamo preoccupati più di curare le vetrine quando ne abbiamo avuto l’opportunità che non di usare l’evento come punta di una piramide con solide fondamenta e capace di creare una rete fruttuosa sul lungo termine. Troppo spesso i laureati in discipline umanistiche vengono trattati come specialisti in materie ‘inutili’, piegati dalla retorica conservatrice del ‘con la cultura non si mangia’: l’arte, le capacità creative e la ricerca umanistica sono ‘utilissime’ se combinate con lo sviluppo dell’industria del turismo e della cultura. Modernizzare musei e siti culturali, promuovere iniziative creative come festival e rassegne locali, nazionali e internazionali, renderli accessibili e a costi affrontabili dalla maggioranza dei cittadini significa non solo sfruttare a fini economici le enormi potenzialità dei nostri beni culturali (senza discriminazioni tra culture di serie A e serie B, senza ghettizzazioni), ma anche creare posti di lavoro e opportunità di crescita e sviluppo per i nostri esperti, e rinvigorire il rapporto degli italiani con la propria cultura come identità e motivo di orgoglio presente, non solo passato”.
E il paesaggio, che così come l’ambiente deve essere tutelato e messo in sicurezza con interveni di ampio respiro: “si tratta della vera ‘grande opera’ necessaria al nostro paese — scrive Sandro da Venezia -, evidentemente fatta soprattutto di micro-interventi di ripristino delle funzionalità naturalistiche. La progettazione delle infrastrutture e la sistemazione del territorio secondo logiche naturalistiche e multi- funzione deve abbandonare il dimensionamento secondo le superate tabelle con i tempi di ritorno degli eventi eccezionali e tenere presente gli scenari dei cambiamenti climatici. Anche le politiche più avanzate a livello internazionale promuovono strategie, quindi fondi, che combinino la mitigazione degli impatti ambientali (la riduzione degli inquinanti che alterano gli equilibri ecosistemici) con la riduzione del rischio di disastri derivanti dalle alterazioni climatiche”. Paesaggio e città, le “città possibili”, come scriviamo nella mozione.
Le città possibili hanno bisogno — ci scrive ancora Pileri — “di un processo di apprendimento culturale a favore dei cittadini, facendo conoscere quelle che sono le soluzioni e le pratiche possibili per innovare la città, migliorare la qualità della vita di chi le abita e produrre occasioni occupazionali e economiche. Occorre investire in un processo di formazione, che è sempre mancato in questi anni. E sulle questioni ambientali ed urbanistiche questa assenza è stata particolarmente forte e, peggio, sostituita da una incultura che ha ridicolizzato tutto ciò che era verde”. Cittadini consapevoli, e quindi amministrazioni trasparenti nelle scelte sostanziali, che “vuol dire che sul proprio sito web ciascun comune deve pubblicare, ad esempio: a) quanto suolo potrebbe essere trasformato con le decisioni del piano urbanistico; b) quale quota di differenziata c’è ora e quale si punta ad avere nell’arco del mandato politico; c) come sono spesi i soldi dei comuni per fare opere pubbliche”. Lo stesso deve valere per regioni e province, perché “senza trasparenza delle scelte urbanistiche si alimenta la corruzione e si spiana la strada per il più forte e ricco, e per chi può permettersi di pagare un tecnico. Gli altri subiscono e rimangono ignoranti”.