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Per gli Stati Generali avevo registrato il mio intervento ma, quando ho sentito che ce ne sarebbero stati 90 circa, ho chiesto fosse cancellato dall’elenco. E non perché non avessi nulla da dire, semplicemente ero certa che altri avrebbero espresso i miei pensieri e anche le mie perplessità, non meno che le mie ambizioni. Mi è sempre successo da quando sono parte della comunità politica di Possibile di sentirmi perfettamente rappresentata senza il bisogno di aggiungere una parola in più. Così è stato anche questa volta. E ora non voglio certo tornarci sopra e nemmeno stabilire da quale parte debba pendere la bilancia tra quelli iper critici e quelli pronti subito a scrollarsi la polvere di dosso. E’ sicuro però che si può essere critici – ed è un punto di partenza il fatto che siamo gli unici a esserlo, malgrado abbiamo meno responsabilità di altri – e però si può tornare al lavoro. Tutti.
Con i nostri metodi, le nostre energie, le nostre competenze e persino con le nostre ingenuità.
Perché serve a noi, serve al paese e serve soprattutto ai giovani e ai nostri figli. E serve ancora di più ora che gli stronzi e i politicismi vecchi e nuovi ci hanno lasciato i graffi sulla pelle. Serve ora che per essere unitari siamo spariti, come ha detto Civati. Ora che abbiamo messo a disposizione di tutti, senza rivendicazioni e primogeniture, mille battaglie e un Manifesto.
Che nessuno può negare e nemmeno portarci via. A meno che non vogliamo essere noi stessi a farlo. Basterebbe sapere almeno perché. Perché dovremmo negarlo se l’unità della sinistra e quel bisogno di un mondo di essere rappresentato è rimasto tutto fuori? Se guardassi, come in effetti guardo, da Sud, non potrei che far notare che quel popolo, che dovevamo andare a prendere nel bosco, la via l’ha trovata da sé. Restando unito appunto e andando a votare per il cambiamento. Uno qualsiasi. Pur di “ribaltare il tavolo”. E se c’è una cosa che mi fa incazzare è sentir dire che la sinistra è sparita. Mi fa incazzare perché non è vero. Vi pare sia così? E’ così nelle nostre città? Non c’è sinistra nei centri che abitiamo? Non c’è solidarietà? Non ci sono persone che si spendono per gli ultimi? Non ci sono comitati di cittadini che si organizzano contro gli scempi ambientali? Non ci sono giovani innovatori che mettono il sapere a disposizione della crescita sociale e per l’integrazione? Non ci sono spargitori di semi culturali? Non ci sono giovani oppositori di modelli economici in affanno?
Ecco, non è dispersa la sinistra. E’ dispersa, imbrigliata, forse anche timida, una classe dirigente che dovrebbe farsi interprete, collettore di tutto quello che già c’è. Che dovrebbe accettare il fallimento, come insegnano in quella scuola modenese, di cui è cofondatrice una giovane economista crotonese, Francesca Corrado, in cui si impara che perdere è il primo passo per arrivare a vincere.
Quindi, piuttosto che disperdere energie in discussioni infinite e attorcigliate, non servono persone che si impegnino a mettere insieme il puzzle di giorni migliori anziché consumarsi in progetti che sembrano voler unicamente preservare un ceto politico stanco, contradditorio, spesso totalmente sconnesso dalla realtà?
Al momento, e credo finché non ci sarà una profonda rigenerazione, è difficile immaginare che tutti i problemi della sinistra possano essere risolti sommando qualche sigla o provando a legittimarsi dentro un processo unitario con un maggiore riconoscimento in quote. Al momento, e credo per essere artefici e costruttori di quella profonda rigenerazione, è più facile per noi rimettere il Manifesto nello zainetto e iniziare a camminare nei luoghi che viviamo, per riconnettere i fili di quello che già ci circonda.
Noi possiamo farlo, malgrado i graffi. Senza fretta ma senza sosta. Generosi e lucidi, aperti e unitari, come ci ha insegnato Civati. Ma da adesso in poi protagonisti.
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