[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1492507222063{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]I lavoratori del Porto di Gioia Tauro ora non hanno altra scelta. Devono protestare contro Mct, società che attualmente gestisce la struttura abilitata al transhipment (schema di trasporto che consiste in un complesso di procedure relative al trasferimento — sbarco/reimbarco — di contenitori dalle grandi navi portacontainers o navi madri su battelli di dimensioni minori definiti navi feeder).
Mct dichiara 400 esuberi e a luglio arriveranno i licenziamenti. Il Ministero sospende il blocco e convoca le parti, ma si avverte fortemente il senso di impotenza che prende i lavoratori e le famiglie interessate.
La protesta si delinea forte e prolungata: 10 giorni tra blocchi autostradali e iniziative spontanee che devono essere anche la nostra lotta. Perché non si tratta solo di impedire i licenziamenti con operazioni di tagli salariali o con trattative estenuanti che attutiscano le conseguenze dei licenziamenti, si tratta soprattutto di progettare investimenti e completamenti strutturali che il governo non mette in agenda.
Cosa rappresenti il Porto di Gioia Tauro per il territorio in questione l’hanno spiegato in tutte le salse. Manca l’investimento a corredo, i collegamenti ferroviari, le cose che già sappiamo.
Denunciamo l’incapacità di progettare il futuro di questi governi, pronti a tagliare come perfette seghe circolari, completamente assenti, se non al momento delle richieste di consenso, nel dare seguito alle promesse. Il Masterplan delle intenzioni, neanche buone.
Possibile si schiera dalla parte di chi perde il lavoro, ma anche molto altro: futuro lavorativo, alternative credibili al disimpegno dello Stato, legalità, come già avevamo fatto in passato.
Silvio Frascà[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]