La riforma in materia di accoglienza dei rifugiati voluta dal governo Gentiloni, e che ha visto come principale artefice il ministro dell’Interno Minniti, è una riforma sbagliata e inumana, che ci riporta di colpo indietro alle politiche muscolari dei governi di centrodestra. Mentre si alzano voci di sdegno nei confronti di Donald Trump, è l’Italia stessa, con il supporto dell’Unione europea, a costruire un muro diplomatico, politico e amministrativo nel mezzo del Mediterraneo: si è scelto — ancora una volta, anche in questo caso — di cominciare dagli effetti e di dimenticare le cause delle migrazioni forzate.
Non è condannando i migranti nelle mani delle forze di sicurezza libiche, in eventuali «campi di accoglienza» e certissime prigioni, esposti alle violenze in un paese che non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, che daremo risposte a coloro che scappano da guerre, persecuzioni e luoghi nei quali non possono più vivere. Come può la Libia — paese che vive una fortissima crisi istituzionale che impedisce ad alcun governo di esercitare il controllo del territorio — garantire protezione a coloro che scappano dal Corno d’Africa, cui il nostro paese risponde positivamente a tutte le domande d’asilo? Nascondere il problema è solo un elemento di ipocrisia.
Non è rimpatriando tutti coloro ai quali non riconosciamo protezione internazionale che potremo pervenire a una gestione razionale e umana dei flussi: i rimpatri, oltre a essere costosissimi (l’Espresso stima un costo di circa 400milioni di euro per eseguire il rimpatrio di 120mila “diniegati” dal 2013), presuppongono accordi di collaborazione con paesi che spesso non sono affatto in grado di garantire la sicurezza personale delle persone rimpatriate.
Non è eliminando tutele giuridiche fondamentali quali il grado di appello per i richiedenti protezione internazionale e la detenzione nei nuovi «centri per il rimpatrio» (aggiornamento formale e solo nominalistico degli inumani CIE, vera e propria “truffa delle etichette”) che otterremo una migliore e più snella gestione delle procedure.
Il cosiddetto “pacchetto Minniti” è non solo una proposta che non tiene conto dei diritti umani e degli obblighi internazionali dell’Italia a tutela dei rifugiati, ma segna ancora un approccio che non tiene conto della realtà, e che si basa sulla (poco pia) illusione che la soluzione siano muri fisici e politici, respingimenti ai confini libici e rimpatri di massa. E’ necessario rispondere con un fermo e deciso no, che contrapponga alla chiusura del governo italiano alcune semplici e realistiche (nel senso che tengono conto della realtà) misure:
- Un impegno deciso dei governi perché vengano limitate le forme di sfruttamento delle terre da cui i migranti scappano, con una lotta senza quartiere alle diseguaglianze globali, a partire da una rivisitazione delle politiche energetiche dei paesi europei in Nigeria e Niger, e di quelle fiscali per evitare elusione ed evasione di compagnie nostre che sottraggono risorse ingenti ai paesi più poveri, evitando ogni supporto dato a governi in odore di regime dittatoriale: serve coerenza nelle politiche per lo sviluppo;
- A livello europeo, insistere per il superamento dell’ipocrisia del sistema Dublino, eliminando il criterio del primo Paese d’arrivo e verso un meccanismo automatico e permanente di condivisione delle responsabilità sulle richieste d’asilo tra Stati membri, che metta al centro la persona e i suoi bisogni;
- Un altro impegno deciso volto a ridurre il commercio di armi e in particolare alla piena attuazione della legge 185 del 1990, bloccando l’esportazione di armi dall’Italia verso paesi in stato di conflitto armato o i cui governi sono responsabili di accertate violazioni dei diritti umani;
- L’attivazione di corridoi umanitari che garantiscano, nelle principali zone di crisi e nei paesi di transito, la possibilità di accedere a vie legali e sicure (come reinsediamenti e visti umanitari) per arrivare in Unione europea a domandare protezione internazionale, a partire dai casi di particolare vulnerabilità;
- Riattivare canali per cercare lavoro in Italia, così da evitare che coloro che arrivano in Italia con questo scopo facciano domanda d’asilo, ingolfando il sistema di valutazione, pesando sulle casse pubbliche e rischiando di ottenere un diniego alla domanda e trasformarsi in irregolari, con un netto superamento della Bossi-Fini;
- Prevedere per coloro che ricevono il diniego alla domanda d’asilo anche in appello la possibilità di una regolarizzazione attraverso il lavoro e lo studio, per evitare di dover automaticamente procedere al rimpatrio, magari anche nei casi in cui la persona ha già trovato lavoro;
- Investire sui programmi di rimpatrio volontario che garantiscano un futuro degno a chi sceglie di fare ritorno nel proprio paese e concentrare i rimpatri forzati solamente come extrema ratio e quando ricorrono motivi di sicurezza nazionale;
- Costruire un sistema di accoglienza diffuso sulla base del modello Sprar, cancellando i grandi centri in emergenza (che fruttano ingenti guadagni ai gestori) per concentrarsi su piccole e piccolissime strutture diffuse in maniera omogenea sul territorio. Un sistema che inoltre fornisca al richiedente asilo tutti gli strumenti per poter essere autonomo e integrato nel contesto sociale e ricada positivamente sui territori attraverso la creazione di posti di lavoro e la valorizzazione delle competenze di chi lavora nel settore dell’accoglienza;
Sulla base di queste proposte contrasteremo in tutti i luoghi, istituzionali e non, la disumanità e l’inefficacia del «pacchetto Minniti».
Partecipa alla nostra campagna: firma l’appello, resta informato, partecipa alla mobilitazione.
Segnalaci gravi violazioni dei diritti, buone e cattivissime pratiche di accoglienza scrivendo a stefano@possibile.com.
Schierati con noi dalla parte dell’umanità.