Come anticipato dai trailer, è uscita la terza stagione dei decreti sicurezza, che si è rivelata, come ampiamente atteso, un banale, stanco e trito remake delle prime due.
Le nuove star, la premier Meloni e il ministro Piantedosi, già comprimario nelle altre stagioni e promosso al leading role, non fanno rimpiangere i precedenti protagonisti Conte e Salvini, soprattutto per incompetenza, come già si intuiva dall’esordio con il decreto rave.
La trama conferma le anticipazioni.
Riassumendo, per quanto riguarda le ONG prevede che le navi delle organizzazioni umanitarie possano compiere un unico salvataggio, informando immediatamente le autorità e chiedendo l’approdo in un porto sicuro.
Per rendere effettiva questa disposizione sono anche vietati i trasbordi tra un’imbarcazione e l’altra.
Ai migranti a bordo dovrà poi essere chiesto se intendano presentare domanda di protezione internazionale, affinché sia il Paese di bandiera della nave a farsene carico. A fronte di queste disposizioni stringenti sono anche previste sanzioni e sequestri amministrativi, quindi disposti sostanzialmente dai funzionari del ministero dell’Interno, ex colleghi del ministro.
La serie purtroppo è drammatica, perché mette in conto la morte di molte persone, e vedremo come, ma giuridicamente viene presentata con un tratto di comicità involontaria.
Palazzo Chigi scrive infatti nel suo comunicato stampa:
“A tal fine, si declinano le condizioni in presenza delle quali le attività svolte da navi che effettuano interventi di recupero di persone in mare possono essere ritenute conformi alle convenzioni internazionali e alle norme nazionali in materia di diritto del mare.”
Cioè a dire, il Governo (neanche il Parlamento per ora) con decreto urgente (ovviamente l’urgenza non c’è visto che è appunto la terza stagione e la materia è trattata da decenni) che ha valore di legge ordinaria, pensa di poter “declinare” le condizioni con cui norme di rango superiore, cioè i trattati internazionali che hanno rango costituzionale, debbano venire applicati.
Come se con un decreto legge Meloni e Piantedosi ci spiegassero la Costituzione e magari a chi pensano non si debba applicare il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 (temo possa accadere davvero).
Tutto a rovescio, il sottosopra del diritto.
Ma veniamo al merito e alle cose serie.
Il salvataggio “unico” e il divieto di trasbordi contrastano con l’obbligo di soccorso di cui all’art. 98 UNCLOS (Montego Bay) perché il comandante in presenza di altri naufraghi deve prestare soccorso “se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa” e ciò “quanto più velocemente possibile”, e se questo comporta un trasbordo è obbligato a farlo.
Secondo la Convenzione internazionale sull’assistenza e soccorso in mare del 1989 (denominata Salvage) (art. 10, §1) “Ogni capitano è tenuto a prestare assistenza a qualsiasi persona che si trovi in pericolo di perdersi in mare”, con gli Stati che, ai sensi del §2, “prendono le misure necessarie atte a fare osservare l’obbligo di cui al §1.”.
Poi secondo la convenzione SAR del 1979 il capitano deve trasportare i naufraghi in luogo sicuro (place of safety) vale a dire “una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse, e dove: la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale”.
È evidente come lo stato di necessità determinato dalla presenza di altri naufraghi prevalga sull’immediata rotta verso il porto sicuro, che deve essere fornito dallo stato costiero più vicino.
Qui occorre precisare che le ultime indicazioni del Governo, prima Salerno e Livorno, poi proprio ieri per Ocean Viking (113 naufraghi, con 3 neonati, uno di 3 settimane, 23 donne alcune incinte e 30 minori non accompagnati) addirittura Ravenna, sono da un lato una dimostrazione di malvagità in purezza, dall’altro un evidente, patetico, tentativo di mettere in difficoltà amministrazioni regionali e comunali di centrosinistra.
Come ha osservato Cecilia Strada, “ci sarebbe da ridere, se non fosse che questo gioco del governo è fatto sulla pelle delle persone che rischiano di annegare, e dei soccorritori che cercano di evitarlo”.
Perché è chiaro che, anche senza il nuovo decreto, assegnare un porto come Ravenna a 900 miglia nautiche dalla posizione della nave e a quattro giorni di navigazione significa togliere dal Mediterraneo centrale una nave di salvataggio e quindi consentire per più tempo che si verifichino naufragi senza adeguato soccorso (che lo Stato e l’UE non offrono).
Se è vero che “place of safety” è solo indirettamente e non espressamente il porto più vicino (si parla di minor deviazione possibile dalla rotta), è anche vero che la sicurezza non è riferita al porto ma ai naufraghi e che in caso di eventi come malattia o morte di naufraghi nel tragitto, o di altri naufraghi che potevano essere salvati, evitabili con altra indicazione, la responsabilità morale (allo stato purtroppo non giuridica) dovrebbe essere di chi poteva indicare un’altra destinazione.
Invece, a quanto pare, se ne fanno vanto, perché era il loro “programma”.
In ogni caso, secondo l’art. 33 della Convenzione di Ginevra «Nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche».
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sentenza Hirsi) ha precisato poi che «secondo il diritto internazionale in materia di tutela dei rifugiati, il criterio decisivo di cui tenere conto per stabilire la responsabilità di uno Stato non sarebbe se la persona interessata dal respingimento si trovi nel territorio dello Stato, o a bordo di una nave battente bandiera dello stesso, bensì se essa sia sottoposta al controllo effettivo e all’autorità di esso».
Ne deriva che il criterio della bandiera della nave non rileva, perché è successivo e subordinato al trasporto in luogo sicuro e solo quando il naufrago è sottoposto all’effettiva autorità dello Stato in cui è sbarcato potrà avanzare le proprie richieste per ottenere lo status di rifugiato, non prima, non sulla nave, e mai allo stato di bandiera ma a quello del “porto sicuro”.
Quindi, come già detto, una legge dello Stato non può modificare o “declinare” i trattati, che hanno rango costituzionale e non solo può, ma deve essere disapplicata dal comandante della nave, se ha un contenuto diverso dai trattati stessi.
Poi, il “farsi carico” dei naufraghi sbarcati potrà dipendere da ulteriori accordi ma mai una legge italiana potrà avere valore di obbligo verso gli stati di bandiera delle navi.
A ruota sono illegittime le sanzioni ed i sequestri, nella stessa misura in cui lo erano quelli previsti dai decreti sicurezza di Salvini e Conte, tutti annullati dopo i ricorsi, che ora saranno in sede civile.
Giova ripetere, anche se non ascolteranno come sempre, e purtroppo non ha ascoltato neppure il centro sinistra quando era al governo, che l’unica via è organizzare un sistema di salvataggio concertato con gli altri stati europei, che tuteli prima di tutto le vite umane e poi il diritto di asilo, abrogando la Bossi Fini e aprendo corridoi umanitari sicuri, per disincentivare il traffico di esseri umani, ricordando che al momento non esiste, in Italia, immigrazione legale.
L’immigrazione non si fermerà con un altro decreto, che invece porterà solo più morti in mare rallentando l’attività di chi si occupa dei salvataggi, nell’inerzia del nostro Stato, pardon, della nostra Nazione, e della UE, ma non potrà impedire il soccorso, perché chi ha scritto il decreto, oltre a non possedere i rudimenti del diritto, non ha titolo giuridico per farlo.
Le convenzioni internazionali, infatti, hanno come scopo quello di assicurare il salvataggio delle persone in mare, non il rispetto del programma di governo di partiti di destra, pieni di nostalgici dei post fascisti, che cercano di “declinarle”, senza poterlo fare.
Programma che prevede un incomprensibile, soprattutto dal punto di vista umano e umanitario, accanimento nei confronti di chi salva persone che rappresentano al massimo un 15% degli ingressi definiti “illegali” nel nostro Paese, le uniche che lo fanno a rischio della vita.