Presso le commissioni congiunte Giustizia e Affari costituzionali del Senato è recentemente iniziato l’iter di conversione in legge del decreto-legge 17 febbraio 2017, recante disposizioni per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale, articolato in quattro Capi per un totale di 23 articoli.
Gli articoli da 1 a 5 prevedono l’istituzione presso 14 Tribunali ordinari di sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, il tutto basato sulla clausola di invarianza finanziaria di cui all’articolo 1, comma 1. Questa precisazione mal si concilia con quanto dichiarato nella relazione illustrativa, secondo la quale l’istituzione di sezioni specializzate risponde all’esigenza di assicurare una maggiore celerità ai ricorsi giurisdizionali in materia di immigrazione, a fronte del significativo aumento di richieste di protezione, conseguente all’eccezionale afflusso di migranti, dal quale è derivato l’altrettanto eccezionale aumento delle impugnazioni. La possibilità far fronte a tutti questi aumenti esponenziali, senza risorse aggiuntive o incrementi di organico, in realtà, si fonda sulle disposizioni contenute nel capo successivo. Rileva in particolare l’articolo 6 (comma 1, dalla lettera a alla g), che modifica sostanzialmente la procedura per la richiesta di protezione internazionale in tema di notificazioni, colloquio personale e rito delle controversie. In merito al primo aspetto, la lettera a) sostituisce interamente l’articolo 14 del dlgs n. 25 del 2008, stabilendo, tra l’altro, che in caso di inidoneità del domicilio dichiarato o comunicato, la notificazione si intende di fatto eseguita nel momento in cui perviene alla Commissione territoriale l’avviso di ricevimento da cui risulta l’impossibilità della notificazione; quando invece il richiedente è accolto o trattenuto in uno degli appositi centri o strutture, la Commissione invia gli atti e i provvedimenti tramite PEC al responsabile della struttura, che avrà il compito di consegnarli al destinatario facendo firmare la ricevuta. Se il richiedente si rifiuta di sottoscrivere l’atto, o la ricevuta, oppure risulta irreperibile, il responsabile della struttura è tenuto ad informare la Commissione tramite PEC. Non ci vuole molto per capire che questo nuovo regime non agevola né il richiedente né l’autorità pubblica competente.
Con le modifiche previste alla lettera c), il colloquio individuale presso la Commissione territoriale è sempre videoregistrato con mezzi audiovisivi ed è tradotto in italiano tramite strumenti automatici di riconoscimento vocale. Il richiedente non riceve più una copia del verbale, ma gli viene data lettura della trascrizione del colloquio in una lingua a lui comprensibile o tramite l’ausilio di un interprete, il quale, subito dopo la fine del colloquio verifica la correttezza della trascrizione ed apporta le necessarie modifiche, anche tenendo conto delle osservazioni dell’interessato. Il verbale della trascrizione è sottoscritto dal presidente e dall’interprete, mentre il richiedente sottoscrive solo eventuali osservazioni. La redazione del verbale dell’audizione è un’ipotesi residuale (impossibilità tecnica di registrare il colloquio) e solo in questo caso il richiedente ha la possibilità di sottoscrivere ed è specificato che un eventuale rifiuto non impedirà alla Commissione di adottare comunque una decisione.
La successiva lettera g), introducendo l’articolo 35-bis al dlgs n. 25 del 2008, riscrive la disciplina delle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale. L’obiettivo dichiarato è quello di ridurre la durata dei procedimenti, la soluzione escogitata è l’applicazione a tali controversie del rito camerale. Pertanto, l’udienza è fissata solo quando è necessario procedere a specifici adempimenti, il contraddittorio è scritto e, infine, il procedimento è definito con decreto non reclamabile, ma esclusivamente ricorribile per Cassazione entro il termine ordinario (eliminando così un grado di appello). Considerata la particolare delicatezza e al contempo l’eterogeneità dei casi sottoposti al vaglio della Commissione, nonché i diritti e gli interessi coinvolti, la scelta del legislatore in questa circostanza appare non del tutto ragionevole, anche perché la possibilità di presenziare all’udienza è imprescindibile per categorie particolarmente vulnerabili, come donne incinte o persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza.
In definitiva l’onere della riduzione dei tempi dei procedimenti ricade interamente sulle spalle dei richiedenti protezione e non solo, perché l’articolo 7 estende l’applicazione del rito sommario di cognizione anche alle controversie in materia di accertamento dello stato di apolidia.
L’articolo 17 introduce l’articolo 10-ter al Testo unico sull’immigrazione e fissa nuove disposizioni per l’identificazione dei cittadini stranieri rintracciati in posizione di irregolarità. In particolare il comma 3 stabilisce che il rifiuto reiterato dello straniero di sottoporsi ai rilievi fotodattiloscopici e segnaletici configura il rischio di fuga ai fini del trattenimento nei CIE. Tale disposizione andrebbe eliminata anche in considerazione del fatto che, in assenza di una profonda revisione del cosiddetto “sistema di Dublino”, molti potenziali richiedenti protezione internazionale si rifiutano di essere identificati nel paese di primo approdo perché desiderosi di raggiungere altri Stati dell’Unione.
Ebbene, proprio in riferimento ai CIE, il comma 1 dell’articolo 19 cambia la denominazione in “Centri di permanenza per i rimpatri”, mentre il comma 3 li riporta definitivamente in auge prevedendone un ampliamento ed una “distribuzione sull’intero territorio nazionale”. La relazione tecnica del provvedimento specifica che l’incremento della capienza sarà di 1.240 posti, per una spesa complessiva di 13 milioni di euro. Per contro nessuna delle nuove disposizioni prevede incentivi per il sistema di accoglienza diffusa o misure a sostegno degli amministratori locali che hanno assunto l’impegno di implementarlo. Si segnala infine che nonostante le criticità e le censure da tempo mosse a queste strutture, evidenziate anche dalla risoluzione della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, approvata il 5 marzo 2014, il decreto non apporta sostanziali modifiche nel merito, se non il vago riferimento al fatto che le strutture dovranno essere di capienza limitata (evitando così di indicare il numero di posti per struttura) e alla presenza del Garante dei diritti delle persone detenute.
È possibile dunque affermare che il nuovo decreto, nel tentativo di raggiungere gli obiettivi prefissati, determina una indubbia compressione dei diritti dei richiedenti protezione internazionale e rappresenta una clamorosa occasione mancata, l’ennesima di questa legislatura. Si sarebbe potuta avviare l’auspicata revisione sistematica del corpus di norme disciplinante la protezione internazionale e, più in generale, le politiche migratorie e la condizione dello straniero nel nostro Paese, come peraltro previsto dall’articolo 7 della legge n. 154 del 2014 (legge di delegazione europea). Si sarebbe dovuto incentivare il sistema di accoglienza diffusa, neanche questo è previsto.
L’iter per l’approvazione è appena iniziato, la speranza è che il Governo durante l’esame in Parlamento apporti al testo i correttivi necessari per offrire una risposta davvero efficace al problema dell’immigrazione.
Chiara Arseni