[vc_row][vc_column][vc_column_text]«Quello che si prepara è un disastro». Sintetizza così Matteo Biffoni, sindaco di Prato e delegato Immigrazione per Anci, e non potrà essere altrimenti. Con le prime analisi del decreto Salvini su immigrazione e sicurezza cominciano a emergere le preoccupazioni dei sindaci che, a prescindere dal colore politico e dalle proprie idee, si troveranno a gestire situazioni che rischiano di essere letteralmente esplosive per i territori, come raccontiamo anche ne «Il capitale disumano».
Sono due i motivi di maggiore preoccupazione. Giovedì pomeriggio, nella sede romana di Anci, sono state fornite alcune cifre. La cancellazione della protezione umanitaria, sostituita da un coacervo di altri permessi (che appaiono finalizzati più a evitare un palese vizio di incostituzionalità che a un riordino), secondo alcune stime creerà, solamente nel 2019, 50mila persone senza un regolare permesso di soggiorno. Tutti a casa loro? Neanche per idea: come ben sappiamo i rimpatri sono tanto costosi quanto difficilmente praticabili, sia per ragioni amministrative (accordi con i paesi di provenienza) che per ragioni costituzionali, dato che la nostra Costituzione, all’articolo 10, garantisce allo straniero gli stessi diritti previsti per gli italiani. Le preoccupazioni dei sindaci sono quindi più che giustificate, dato che si troveranno a doversi confrontare con un maggior numero di “invisibili” sul territorio, persone a rischio marginalizzazione, a rischio sfruttamento, e — sembra paradossale doverlo ricordare — prima di tutto persone, portatrici di fragilità e bisogni: espellere persone dal sistema di accoglienza significa metterle a carico dei servizi sociali comunali.
Allo stesso tempo, lo stravolgimento dello Sprar, con l’espulsione dei richiedenti asilo (anche quelli considerati vulnerabili) e di coloro che saranno titolari di forme di protezione rientranti nel coacervo di cui sopra, rischia di avere conseguenze altrettanto preoccupanti. La prima è che i richiedenti asilo (anche vulnerabili, appunto) saranno ospitati in centri straordinari, di grandi dimensioni, generando da un lato paura sociale e dall’altro minori possibilità di inclusione: persone che, ancora una volta, rischiano di bussare alla porta dei servizi sociali comunali. La seconda è che la stessa sorte toccherà ai titolari delle forme di protezione residuali. La somma delle due componenti rischia di superare di gran lunga le centomila unità. Infine, ci sono stati dei comuni che insistono in zone del paese che hanno subito forti processi di spopolamento, che grazie all’accoglienza sono riusciti a garantire la prosecuzione di servizi essenziali che, altrimenti, rischiavano di chiudere definitivamente, a partire dagli asili e dalle scuole.
Una vera e propria rivoluzione dagli effetti nefasti che, inevitabilmente, si scaricheranno sui comuni e sui territori, in un vortice di maggiore insicurezza sociale causata da sempre più domande di accesso ai servizi sociali, dal taglio dei servizi, da un maggior numero di persone che sfuggono, per definizione, alle reti di inclusione e sicurezza. Problemi che investiranno tutti, nessuno escluso, neppure gli amministratori più devoti alla fede salviniana.
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