Già da una prima lettura delle otto deleghe al Governo approvate in Consiglio dei Ministri il 14 gennaio in discussione in VII Commissione nei prossimi giorni, l’impressione è quella di veder rispecchiato l’impianto farraginoso di tutta la Riforma della Buona Scuola: molte belle intenzioni ma spesso senza fondi per realizzarle, lontane dai tempi e dagli spazi dettati dalla Scuola italiana e per lo più di difficile applicazione perché progettate solo sulla carta, senza un confronto serio con le parti interessate. Una scuola in cui è chiaro che la partecipazione e la sovranità degli organi collegiali non sono più importanti, incentrata com’è, sempre più, sulla figura di un Dirigente- Capo che tutto fa e disfa, svilendo progressivamente il valore che il confronto porta sempre con sé.
Partiamo dal Decreto sulla “Formazione iniziale e accesso ai ruoli di docente nella scuola secondaria”, più comunemente noto come “Delega sul reclutamento”.
Il testo descrive le nuove modalità di accesso all’insegnamento, sia per la scuola primaria e secondaria, sia per sostegno, comprendendo anche una fase transitoria per chi ha già servizio pregresso.
Da subito appare evidente la lunghezza del percorso necessario sia per accedere al concorso (primo passaggio) che, successivamente, per il triennio di formazione e specializzazione: secondo la proposta del governo, ad un docente con laurea magistrale o equipollenti, infatti, occorrerà, per l’accesso al prossimo concorso, conseguire 24 crediti in materie antropo-pedagogiche, una certificazione almeno di livello linguistico B2 del Quadro comune europeo, competenze informatiche e telematiche e probabilmente, ma non è dato saperlo, le integrazioni alla Laurea sancite dalla tabella di revisione delle classi di concorso di un anno fa.
Una volta superato il concorso, che consiste in tre prove (quattro per i docenti di sostegno), si potrà accedere al triennio formativo, a carico dello Stato.
Scopriamo però, in una righina tra gli ultimi articoli del decreto che, guarda un po’, non sarà così per tutti; c’è chi potrà permettersi di bypassare la preparazione al concorso, accedendo al primo anno di specializzazione attraverso una fantasiosa corsia preferenziale. Leggiamo infatti all’art. 15 comma 2 che «è considerato titolo prioritario per l’ammissione al corso di specializzazione essere titolari di un contratto triennale retribuito di docenza presso una scuola paritaria».
Ma tranquilli, al successivo comma 4 si precisa che «le spese della frequenza dei corsi di specializzazione per i soggetti di cui al comma 2 sono integralmente a carico degli interessati».
In soldoni: se hai un contratto con una scuola paritaria (leggi scuole private, sì, proprio quelle che secondo la Costituzione possono esistere “senza oneri per lo Stato”) puoi risparmiarti il sudore di anni di preparazione per il concorso, purché paghi tu.
Una curiosità: ma la ratio di questo privilegio concesso dal governo a chi insegna nelle scuole paritarie qual è? Sappiamo che chi vi insegna, attraverso canali che poco hanno a che fare con la trasparenza e l’oggettività del merito, può far valere l’esperienza lavorativa anche nella scuola statale. Il dubbio che possa esserci la volontà di approfittare di questa possibilità per attirare nella paritaria il personale docente pagando meno del dovuto il lavoro svolto (complice l’assenza di controlli), in cambio di una facilitazione sul percorso formativo, ci è venuto. Per togliercelo basterebbe eliminare dal testo un privilegio davvero senza senso, vogliamo credere.