[vc_row][vc_column][vc_column_text]Il Movimento 5 stelle stabilisce nuove regole d’ingaggio per i parlamentari. Tra queste — pare — una sanzione pecuniaria elevata (anche per i parlamentari, ancora destinatari si indennità troppo elevate, come diciamo da tempo) per chi lasci il partito.
Ora, almeno su questo punto, vale la pena dire due parole, perché il senso delle istituzioni è stato messo in crisi in molti passaggi di questa legislatura, anche in relazione proprio al ruolo dei parlamentari, che non solo il Movimento 5 stelle ha teso a limitare. Ricordiamo in proposito, sopra tutto, le sostituzioni in commissione a cui procedette il partito di maggioranza relativa per l’approvazione della riforma costituzionale e di quella elettorale.
Per stare al caso di specie, dobbiamo ricordare che la nostra Costituzione (come tutte quelle di democrazia liberale) prevede il divieto di mandato imperativo. Questo — come spiegò bene Mortati alla Costituente — serve a sottrarre il parlamentare agli interessi particolari e anche alle indicazioni del suo stesso partito perché egli rappresenti la Nazione.
Cercare di violare o comunque di aggirare (anche con accordi privatistici) questa previsione costituzionale, pietra angolare della democrazia parlamentare (e senza la quale tanto varrebbe far votare solo i capigruppo, come proponeva — non per primo — anche il leader del centrodestra italiano pochi anni fa) è molto grave. In effetti, con sentenza 14 del 1964, la Corte costituzionale, nel ribadire il carattere fondamentale del divieto di mandato imperativo, precisò che “nessuna norma potrebbe legittimamente disporre che derivino conseguenze a carico del parlamentare per il fatto che egli abbia votato contro le direttive del partito”.
Diciamo, in conclusione, che la notizia per cui quello che sembra destinato ad essere il primo partito cercherebbe già di porre ai propri parlamentari vincoli in contrasto con la Costituzione getta una prima fitta ombra sulla prossima legislatura.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]