Articolo 4 del IV Protocollo addizionale alla CEDU (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali): «Le espulsioni collettive di stranieri sono vietate».
Convenzione di Ginevra del 1951: «lo status di rifugiato è riconosciuto a chi abbia subito la violazione dei diritti umani fondamentali o abbia il fondato timore di essere perseguitato nel paese d’origine; il richiedente asilo non può essere allontanato e rimpatriato» (principio di non refoulement).
Articolo 10 comma 3 della Costituzione italiana: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».
La legge, il Testo Unico sull’Immigrazione (D.Lgs. 286/98), stabilisce che:
- «Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti». (art. 2)
- Il respingimento alla frontiera non si applica «nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l’asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero l’adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari». (art. 10)
- «L’espulsione è disposta dal prefetto, caso per caso. […] La questura provvede a dare adeguata informazione allo straniero della facoltà di richiedere un termine per la partenza volontaria, mediante schede informative plurilingue». Il decreto di respingimento (alla frontiera) o di espulsione (dal territorio nazionale) è sottoposto al Giudice di Pace per la convalida. Lo straniero ha diritto di essere sentito dal Giudice e deve essere assistito da un avvocato. Il provvedimento di convalida deve essere motivato (art. 13).
- «In nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione». (art. 19 comma1)
L’esame della domanda di protezione internazionale è effettuato su base individuale (art. 3 comma 3 DLgs. 251/2007).
Le autorità competenti all’esame delle domande di protezione internazionale sono le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale (art. 3 DLgs. 25/2008).
Il richiedente è autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato, ai fini esclusivi della procedura, fino alla decisione della commissione territoriale (art. 7 DLgs. 25/2008).
Infine, è questa, secondo il Ministero degli Esteri, la situazione del Sudan: «In tutto il Paese persiste un generale clima di tensione. Lo stato di emergenza vige in tutta la regione del Darfur e negli Stati del Sud Kordofan e del Blue Nile. La regione di confine tra Sudan e Sud Sudan, specialmente negli Stati del Sud Kordofan e del Blue Nile, è infatti ancora instabile e continuano a registrarsi scontri tra le Forze governative ed gruppi affiliati al “Sudan People’s Liberation Movement-North (SPLM‑N)”. In considerazione del permanere della situazione di crisi e della conseguente precaria situazione della sicurezza nell’ovest del Paese (Darfur), sono sconsigliati viaggi a qualsiasi titolo in questa regione. Il banditismo contraddistingue tutto il territorio del Darfur, ivi comprese le aree urbane, e non risparmia neanche gli operatori umanitari. E’ inoltre elevato il rischio di scontri tra gruppi armati e forze governative. Si segnala che negli ultimi anni si sono inoltre verificati numerosi casi di sequestro di persona, anche a danno di operatori umanitari. Si fa infine presente che sono necessarie autorizzazioni speciali, anche per il personale diplomatico e gli operatori umanitari, per recarsi nella regione. Sono inoltre a forte rischio le aree di Abyei, ancora oggetto di contesa tra Sudan e Sud Sudan, Sud Kordofan e Blue Nile».
Se questo è il quadro giuridico e fattuale in cui si colloca la deportazione di 48 cittadini sudanesi avvenuta ieri, le violazioni sono gravi, plurime ed oggettive. Il Governo dovrà spiegare e documentare perché non siano stati rispettati i principi di tutela qui ricordati, perché a queste persone non sia stato garantito l’accesso alle procedure di asilo, perché siano state espulse o respinte collettivamente, come sia stato possibile ottenere la convalida contestuale di 48 persone con provvedimento individuale e motivato.
Gli strappi e le violazioni sui diritti umani riguardano tutti, cittadini italiani e stranieri, perché sono la cartina di tornasole del livello di civiltà di un paese. E quando non si rispettano le norme e le procedure per i più deboli, si aprono deroghe e precedenti pericolosi per qualunque cittadino, perché le istituzioni finiscono per mostrare il loro volto autoritario.
Battersi per i diritti umani significa battersi per noi stessi, per i nostri figli, per il nostro vacillante presente e per il nostro incertissimo futuro. Come possiamo confrontarci con l’Egitto che nasconde la verità sull’assassinio di Giulio Regeni, se anche noi iniziamo a metterci sotto i piedi il rispetto dei diritti fondamentali delle persone? Chiediamo immediate spiegazioni ufficiali ad Alfano e non esiteremo a denunciare chiunque abbia violato le leggi vigenti.