Il 22 dicembre scorso, un fronte di governi conservatori e liberali europei, guidato dalla Francia e con l’Italia al traino, ha impedito l’approvazione in seno al Consiglio dell’Unione Europea della direttiva che avrebbe riconosciuto diritti e garanzie ai lavoratori delle piattaforme digitali tra cui l’attribuzione dello status di lavoratori subordinati. Solamente 10 giorni prima, Parlamento e Consiglio avevano faticosamente raggiunto un accordo, promosso dalla Presidenza spagnola.
Le nuove norme avrebbero introdotto, in presenza di alcuni indicatori di controllo facilmente dimostrabili dal lavoratore, dai suoi rappresentanti sindacali o dalle autorità competenti, una presunzione di rapporto di lavoro subordinato e, di conseguenza, il riconoscimento di tutte le tutele previste per i lavoratori dipendenti.
L’accordo avrebbe inoltre vietato alle piattaforme di prendere alcune decisioni importanti, come licenziamenti e sospensioni degli account, senza supervisione umana; imponeva loro di fornire le informazioni sul funzionamento degli algoritmi e le obbligava a valutare il loro impatto sulle condizioni di lavoro, salute e sicurezza.
Insomma, norme di buon senso che avrebbero finalmente restituito diritti fondamentali ai lavoratori della gig economy sono state bloccate dal colpo di coda delle destre, al servizio delle lobby delle piattaforme digitali, a dispetto dell’intesa trovata da Parlamento, Consiglio e Commissione dopo quattro anni di negoziati.
Con la legislatura prossima alla scadenza, recuperare il filo della direttiva appare improbabile. Ciò sottolinea l’importanza delle vicine elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo: dal voto di giugno e dai nuovi equilibri che si costituiranno, dipenderà il futuro di oltre 28 milioni di persone non tutelate.
Giusta Paga — Lavoro Possibile
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