[vc_row][vc_column][vc_column_text]In principio fu l’Uomo Nero. Poi, nel 2011, il ruolo di spauracchio del popolo toccò allo spread (ora citato solo saltuariamente) per ri-tornare nuovamente all’Uomo Nero, con l’aggiunta, negli ultimi tempi, della mafia nigeriana.
Alcuni politici, gli stessi che parla(va)no di ‘invasione’, ‘sostituzione etnica’, di porti chiusi e/o blocchi navali, hanno iniziato a parlare di mafia nigeriana con una certa assiduità, così come alcuni quotidiani sovranisti. Ne parlano collegando spesso e volentieri a questo tema quello dell’immigrazione: un collegamento che non si basa su dati oggettivi, come cercherò di spiegare.
Nell’ultimo rapporto semestrale della DIA, la criminalità organizzata straniera in Italia viene così descritta:
Lo scenario criminale evidenzia, anche nel semestre in riferimento, una forte e continua interazione tra i sodalizi nazionali e quelli di matrice straniera. Infatti, in particolar modo nel sud del paese, i gruppi stranieri tendono ad agire con l’assenso delle organizzazioni mafiose, mentre nelle restanti regioni tendono ad agire autonomamente.
Il traffico di stupefacenti, quello delle armi, nonché i reati concernenti l’immigrazione clandestina e la tratta di persone da avviare alla prostituzione e al lavoro nero — attraverso il fenomeno del “caporalato” — la contraffazione, i reati contro il patrimonio, i furti di rame, sono solo alcuni dei settori dell’illecito maggiormente rappresentativi dell’operatività della criminalità straniera in Italia.
La criminalità nigeriana censita nel rapporto (che ne traccia un’analisi e un profilo evolutivo) rappresenta solo una piccola porzione della criminalità presente in Italia, costituita dalle mafie autoctone, oltre a quella albanese, cinese, romena, sudamericana, nordafricana e dei Paesi ex-URSS. Occupa solo tre delle 518 pagine della relazione semestrale al Parlamento della DIA.
Questo non significa che la mafia nigeriana non esista, ma che già sia una tendenza di alcuni a sovradimensionare volutamente questa specifica criminalità, certamente pericolosa, attiva su determinate tipologie di illecito appaltatele dalla criminalità locale (basti pensare al sodalizio sul traffico degli stupefacenti di cui la mafia nigeriana detiene la gestione dell”’ultimo miglio” quasi ovunque).
Per questo, invece di chiedere (e ottenere) l’invio dell’esercito a Castel Volturno, come ha fatto Giorgia Meloni, per ”smantellare la mafia nigeriana’’, o di prospettare l’adozione del censimento degli immigrati e dei luoghi di ritrovo degli extracomunitari, sarebbe stato più utile seguire le indicazioni della DIA e utilizzare strumenti di contrasto diversi e anche molto proficui come la cooperazione fra Paesi.
Nel composito mosaico della criminalità di matrice etnica emerge, a fattor comune, come i sodalizi stranieri rappresentino, da un lato, la diretta promanazione di più articolate e vaste organizzazioni transnazionali, dall’altro l’espressione di una presenza sul territorio nazionale consolidatasi nel corso del tempo. In tale quadro, si avverte sempre di più l’esigenza di una proficua cooperazione tra i Paesi interessati, attraverso l’utilizzo di strumenti di contrasto comuni, che possa rendere più omogenea ed efficace l’azione di contrasto alla criminalità transnazionale. L’esperienza maturata con la menzionata inchiesta “Shefi” della DIA di Bari, resa possibile grazie alla messa in campo di una Squadra Investigativa Comune italo/albanese, rappresenta, sicuramente, un esempio virtuoso da replicare.
Come per altri temi di grande importanza, che l’Europa può gestire se adotta politiche comuni, dall’evasione ed elusione, al fenomeno migratorio fino a quello dei cambiamenti climatici, anche quello della criminalità organizzata è un fenomeno transnazionale ed è fondamentale la collaborazione fra gli stati europei e i paesi d’origine delle mafie.
Per contrastare macrofenomeni di questa portata, che per loro stessa natura producono effetti in più Stati, appare ineludibile, tra l’altro, lo sviluppo di uno spazio europeo comune, di sicurezza e di giustizia, deputato all’accertamento e all’applicazione di sanzioni previste da una legislazione comunitaria armonizzata. In detta direzione, si innesta anche
l’introduzione della confisca obbligatoria in ambito U.E., in vigore dal 24 novembre 2016, per i reati, tra gli altri, di associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, terrorismo, tratta degli esseri umani, riciclaggio e corruzione.
Su questa convinzione si basa l’iniziativa della D.I.A. denominata “Rete Antimafia Operational Network-@ON”, la cui operatività è stata potenziata negli anni nella prospettiva di intercettare più efficacemente le proiezioni criminali ed economico-finanziarie delle organizzazioni criminali transnazionali. Uno dei punti di forza è l’informalità dello strumento che, attraverso il canale SIENA, consente di dialogare direttamente tra Unità Investigative Specializzate nella lotta alla criminalità organizzata in ambito europeo, secondo uno standard dettato da EUROPOL con delle apposite Linee Guida. Importante anche la possibilità di estendere la Rete@ON a Paesi Terzi come USA, Canada e Giappone, che hanno stipulato accordi strategici od operativi con l’Agenzia EUROPOL, allo scopo di meglio contrastare il fenomeno delle organizzazioni criminali transnazionali (TOC, Transnational Organized Crime), condividendo metodologie ed efficaci strumenti di collaborazione.
Ad oggi l’Italia, la Germania, la Francia e la Spagna sono membri del Core Group della Rete@ON. Dal giugno del 2017, il Belgio e i Paesi Bassi hanno avviato la procedura di adesione in qualità di partner. Sarebbe utile che anche gli altri paesi UE aderenti alla Rete aumentino ulteriormente perché come detto in precedenza, questioni di dimensione europea se non globale vanno affrontate su scala europea e globale.
Per quanto riguarda il tema del legame tra criminalità e immigrazione, sempre nella relazione D.I.A. troviamo scritto:
Negli ultimi anni è emerso, altresì, come il traffico degli esseri umani sia diventato un ulteriore, importante canale di finanziamento della criminalità straniera operante a livello internazionale, per la cui realizzazione verrebbero utilizzate le medesime direttrici del contrabbando e del traffico di merci illegali.
L’elevata remuneratività del settore induce molti soggetti, anche di origine comunitaria, ad inserirsi nella gestione dei flussi migratori. Non di rado, infatti, accanto agli immigrati clandestini vengono fermati georgiani, ucraini, turchi, greci e italiani che partecipano alle attività delle organizzazioni come scafisti.
Le generalizzazioni che Nicola Porro ha fatto sulle pagina de Il Giornale (in un articolo del 5 aprile ha scritto che la “Mafia nigeriana arriva in Italia con i barconi”) mirano ad eliminare le tante sfumature del fenomeno riducendo il tutto a due tonalità cromatiche: il bianco e il nero.
L’andamento generale dei flussi migratori evidenzia come, per molti migranti, il territorio italiano rappresenti esclusivamente un luogo di transito — generalmente attraversato da sud a nord — con la speranza di raggiungere Paesi come la Germania, la Danimarca, il Belgio, l’Olanda, la Norvegia e la Svezia, dove ricongiungersi con i parenti.
Formazioni criminali strutturate, facendo leva su questo stato di bisogno, sono risultate particolarmente attive nel trasportare i clandestini oltreconfine, anche a bordo di autovetture.
La conseguente dispersione dei migranti sul territorio e il successivo passaggio alla condizione di clandestinità avrebbero accentuato il rischio di una loro cooptazione nei circuiti delinquenziali, compreso quello del “caporalato”.
Riguardo a quest’ultimo aspetto, dall’analisi di alcune attività investigative si evince il radicamento di un sistema illecito finalizzato allo sfruttamento lavorativo di migranti con il concorso di funzionari della pubblica amministrazione e liberi professionisti.
I bravi che hanno scoperto la mafia nigeriana solo negli ultimi anni dovrebbero sapere che la presenza di comunità nigeriane risale agli anni ’80, specialmente nel nord Italia, in Piemonte, con Torino in testa, in Lombardia, in Veneto e Emilia Romagna. In concomitanza, anche le prime espressioni criminali sono riconducibili allo stesso periodo, quando vennero intercettati i primi “corrieri” di droga: in Italia, il primo arresto di un nigeriano narcotrafficante risale al 1987 (!!!). [/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]