Che Mare Nostrum sarebbe tornato a occupare le prime pagine dei giornali non era difficile da prevedere. A ottobre dello scorso anno, alla vigilia della chiusura dell’operazione Mare Nostrum, le pagine dei giornali erano zeppe della retorica ufficiale del Governo, in particolare delle parole del ministro degli Interni, Angelino Alfano. Al volere di quest’ultimo dovette cedere anche Matteo Renzi, che precedentemente aveva rivendicato la bontà dell’operazione, condannando le forze politiche che strumentalmente chiedevano la sua cessazione.
Ma qual era la retorica governativa? Era fondata esclusivamente su un argomento: di Mare Nostrum non c’è più bisogno, perché finalmente l’Europa si è assunta le sue responsabilità e con la missione Triton andrà a sostituire — nell’operatività, nelle finalità, negli strumenti – la prima. Un argomento palesemente falso: Mare Nostrum aveva un preciso mandato di ricerca e soccorso in mare, e un’area di operatività fino a 172 miglia oltre le acque territoriali. Triton non ha un mandato specifico di ricerca e soccorso e un’area di operatività limitata a 30 miglia oltre le acque territoriali. Inoltre, la dotazione di mezzi delle due missioni non è nemmeno paragonabile. Mare Nostrum ha permesso di salvare tra le 100mila e le 140mila vite — per quanto il premier dichiari che «i morti c’erano anche con Mare Nostrum».
I limiti – operativi e umani — di Triton sono testimoniati plasticamente anche dalle comunicazioni intercorse tra il direttore della divisione operativa di Frontex, Klaus Roesler, e il direttore dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del ministero dell’interno, Giovanni Pinto. Queste comunicazioni richiamavano l’attenzione dell’Italia perché, a volte, ha osato portare soccorso oltre le 30 miglia. Operazioni «non coerenti con il piano operativo e che purtroppo non saranno prese in considerazione in futuro», scriveva Roesler. Un’azione «non necessaria né conveniente sotto il profilo dei costi».
Mare Nostrum aveva un costo, certamente, ma poteva e doveva essere baricentro delle discussioni e delle negoziazioni italiane in Europa. Poteva e doveva essere un nuovo obiettivo della politica dell’immigrazione dell’Unione. Sembrerà strano, ma – fatto più unico che raro – il tavolo dei negoziati e lo scacchiere della politica estera sono stati, negli ultimi mesi, luoghi in cui l’Italia ha avuto carte molto importanti da giocare.
Il bilancio dei mesi scorsi, invece, lo danno i titoli dei giornali, con i numeri funesti di questi giorni. E come nelle peggiori disgrazie, un altro numero segna la beffa: dall’inizio del 2015 sono 3815 i migranti sbarcati sulle coste italiane, il 60% in più rispetto allo stesso periodo del 2014, a dimostrazione del fatto che Mare Nostrum non era un incentivo per i migranti a lasciare le proprie case per avventurarsi nel Mediterraneo, come sostenuto dalle destre europee ma, purtroppo, anche da Frontex e dal Viminale.
Fermare Mare Nostrum è stato un tragico errore. Non si provi imbarazzo nel dirlo. Servirebbe un Mare Nostrum europeo, con un reale impegno da parte dei governi degli Stati membri, fino ad ora sempre troppo egoisti e gelosi delle proprio competenze per permettere una vera politica d’asilo comune, ed una sempre più necessaria condivisione delle responsabilità. Serve, insomma, fare l’Unione davvero.
Fino a quel momento, si ripristini, al più presto, Mare Nostrum. Perché è già troppo tardi.