Dialogo, istruzioni per l’uso

“Il linguaggio è cambiato, non si riesce più a comunicare come prima, i talk show sono dialoghi tra sordi, non si argomenta il proprio pensiero, le parole perdono senso”. Questo lo scivolo della modernità. E noi scendiamo e scendiamo inesorabilmente verso il vuoto. Il vuoto della comunicazione. Un vuoto che si allarga e crea distanze incolmabili, a più livelli.

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La pro­mo­zio­ne di una diver­sa e più civi­le cul­tu­ra poli­ti­ca e di una cit­ta­di­nan­za pie­na e con­sa­pe­vo­le dovreb­be­ro far par­te degli obbiet­ti­vi di qual­sia­si orga­niz­za­zio­ne, sia essa ente o par­ti­to, che si occu­pi del­la cosa pub­bli­ca, e di cer­to sono sco­pi che l’As­so­cia­zio­ne Pos­si­bi­le abbrac­cia con con­vin­zio­ne. Per que­sta ragio­ne, nei mesi scor­si l’As­so­cia­zio­ne ha volen­tie­ri accol­to lo sta­ge di Enri­ca Birar­di e patro­ci­na­to la serie di incon­tri — caf­fè filo­so­fi­ci, come spie­ga lei stes­sa qui sot­to nel suo rac­con­to con­clu­si­vo — che ha orga­niz­za­to a Padova.
Enri­ca, lau­rea­ta magi­stra­le in filo­so­fia, ha com­piu­to con que­sto sta­ge il tiro­ci­nio del suo Master in Con­su­len­za Filo­so­fi­ca pres­so l’U­ni­ver­si­tà Ca’ Fosca­ri, e con i suoi die­ci appun­ta­men­ti ha for­ni­to ai suoi par­te­ci­pan­ti un per­cor­so di com­pren­sio­ne dei mec­ca­ni­smi del­la comu­ni­ca­zio­ne, del­l’a­scol­to e del­la com­pren­sio­ne tra le per­so­ne. Che è un modo di affron­ta­re le que­stio­ni di cui nor­mal­men­te l’As­so­cia­zio­ne si occu­pa, ma par­ten­do dal­le sue basi, e per que­sto mol­to opportuno.

Pao­lo Cos­sed­du — Pre­si­den­te Asso­cia­zio­ne Possibile

 

“Il lin­guag­gio è cam­bia­to, non si rie­sce più a comu­ni­ca­re come pri­ma, i talk show sono dia­lo­ghi tra sor­di, non si argo­men­ta il pro­prio pen­sie­ro, le paro­le per­do­no sen­so”. Que­sto lo sci­vo­lo del­la moder­ni­tà. E noi scen­dia­mo e scen­dia­mo ine­so­ra­bil­men­te ver­so il vuo­to. Il vuo­to del­la comu­ni­ca­zio­ne. Un vuo­to che si allar­ga e crea distan­ze incol­ma­bi­li, a più livelli.

Non riu­sci­re a comu­ni­ca­re (e civil­men­te) ha due fac­ce: l’incapacità di espri­mer­si, la dif­fi­col­tà di dare un sen­so a quel­lo che si dice, il non rico­no­sce­re il signi­fi­ca­to di una paro­la e inse­rir­la con incoe­ren­za all’interno di un discor­so. E que­sta è una, la fac­cia com­pren­si­bi­le (ma non giu­sti­fi­ca­bi­le) in que­sta moder­ni­tà fre­ne­ti­ca. L’altra fac­cia è la fac­cia più fur­ba. Quel­la del­la volon­tà di non far­si capi­re, mischia­re i discor­si, acca­val­la­re il pro­prio pen­sie­ro a quel­lo altrui in un gro­vi­glio di paro­le che han­no il sapo­re dell’imbroglio o del­la dema­go­gia. Con­fon­de­re per non capir­si per non muo­ver­si. Ecco.

La con­su­len­za filo­so­fi­ca inter­vie­ne sul­la pri­ma fac­cia per evi­ta­re che si giun­ga alla seconda.

La con­su­len­za filo­so­fi­ca è una pra­ti­ca di eser­ci­zio del pro­prio pen­sie­ro e del pro­prio modo di comu­ni­ca­re. Si rivol­ge a uten­ti di diver­so gene­re, dai bam­bi­ni agli adul­ti — ope­ra­to­ri di strut­tu­re sani­ta­rie, mala­ti (con i qua­li è pos­si­bi­le uno scam­bio razio­na­le), lavo­ra­to­ri e mana­ger d’azienda, stu­den­ti, inse­gnan­ti, geni­to­ri e così via -. Non ha fini tera­peu­ti­ci, ma pro­po­ne a grup­pi attra­ver­so labo­ra­to­ri o a sin­go­li attra­ver­so con­su­len­ze indi­vi­dua­li, di guar­da­re e ana­liz­za­re i pro­pri mec­ca­ni­smi di pen­sie­ro, il pro­prio modo di par­la­re. Come con­net­tia­mo logi­ca­men­te una cosa a un’altra, per­ché ci con­trad­di­cia­mo. Cosa man­ca nel nostro lin­guag­gio se non riu­scia­mo a far­ci capi­re o se non riu­scia­mo a dia­lo­ga­re. Ine­vi­ta­bil­men­te da que­sto lavo­ro ne nasce un movi­men­to inte­rio­re con il qua­le poi ognu­no fa i con­ti nel pro­prio io.

Una del­le for­me del­la con­su­len­za filo­so­fi­ca sono i caf­fè filo­so­fi­ci svi­lup­pa­ti in for­ma labo­ra­to­ria­le. I caf­fè filo­so­fi­ci ori­gi­na­ri asco­no in Fran­cia negli anni ’90 e, sul­la base di temi scel­ti ad hoc, alle­na­no i par­te­ci­pan­ti a ragio­na­re con la pro­pria testa, ad argo­men­ta­re le pro­prie idee e ad assu­mer­si la respon­sa­bi­li­tà del­le pro­prie affer­ma­zio­ni, in un con­te­sto ine­vi­ta­bil­men­te dina­mi­co e plu­ra­le. Davan­ti a un caf­fè, al fian­co di uno sco­no­sciu­to, con un faci­li­ta­to­re che con­du­ce e gesti­sce il dia­lo­go. L’Associazione Pos­si­bi­le ha pro­mos­so nei mesi scor­si la rea­liz­za­zio­ne, da par­te del­la sot­to­scrit­ta, di que­sti caf­fè filo­so­fi­ci al Caf­fè Ren­dez Vous di Padova.

Per­ché scri­ver­lo qui.

Per le moti­va­zio­ni elen­ca­te sopra. È neces­sa­rio recu­pe­ra­re spa­zi di con­fron­to e di dia­lo­go per ordi­na­re idee per il cambiamento.

Far­si doman­de e pro­va­re a dare rispo­ste, apri­re fine­stre di rifles­sio­ne, aprir­si a nuo­vi pun­ti di vista e allar­ga­re il pro­prio oriz­zon­te di pen­sie­ro per­met­te di poten­zia­re, ali­men­ta­re, col­ti­va­re le pro­prie idee.

Idee che van­no argomentate.

Spie­ga­re il per­ché del pro­prio pen­sie­ro per­met­te a chiun­que di far­si capi­re, di crea­re uno scam­bio fecon­do, di svi­lup­pa­re un dia­lo­go sen­sa­to, in cui le paro­le abbia­no un peso effettivo.

Sape­re cosa dicia­mo quan­do pro­nun­cia­mo una paro­la e sape­re cosa inten­de l’altro accan­to a noi per­met­te di com­pren­de­re il sen­so comu­ne di qual­co­sa, per non vive­re nel­la pro­pria bol­la egoica.

Cono­sce­re il sen­so comu­ne di una paro­la per­met­te di rap­por­tar­si all’altro in manie­ra cri­ti­ca, dove cri­ti­ca signi­fi­ca giu­di­ca­re con dei cri­te­ri che por­ti­no a un dia­lo­go costruttivo.

Capi­re qua­li sono que­sti cri­te­ri, che ci per­met­to­no di giu­di­ca­re cosa sia giu­sto e cosa sba­glia­to, per­met­te di muo­ver­si nel mon­do con consapevolezza.

E muo­ver­si con con­sa­pe­vo­lez­za, per­met­te di agi­re (dal pro­prio orti­cel­lo casa­lin­go fino al pro­prio cir­co­lo par­ti­ti­co) aven­do ben chia­ro il sen­so del pro­prio muo­ver­si, il moti­vo per cui lo si sta facen­do, la dire­zio­ne del pro­prio pro­get­to di cam­bia­men­to, il come inten­dia­mo ren­de­re pos­si­bi­le l’infinità di alter­na­ti­ve che abbia­mo tra le mani.

I caf­fè filo­so­fi­ci non ave­va­no la pre­sun­zio­ne di far acca­de­re tut­to que­sto in die­ci incon­tri, ma per­lo­me­no di crea­re uno spa­zio in cui cer­ti mec­ca­ni­smi di dia­lo­go (ma chia­mia­mo­li anche rego­le del­la comu­ni­ca­zio­ne cor­ret­ta) fos­se­ro final­men­te svi­lup­pa­ti; in cui attor­no a un tema si potes­se discu­te­re civil­men­te (non sen­za discor­dan­za di pen­sie­ro) e anche modi­fi­ca­re la pro­pria idea espo­sta all’inizio oppu­re sug­gel­lar­la con mag­gio­re consapevolezza.

Si par­te da con­cet­ti ampi come liber­tà, giu­sti­zia, alte­ri­tà per decli­nar­li poi nel nostro con­ses­so socia­le, nel­la nostra vita col­let­ti­va.  Un lavo­ro impor­tan­te e che per­met­te di ripar­ti­re dai fon­da­men­ta­li del­la convivenza.

Rico­strui­re una coscien­za col­let­ti­va, un meto­do di comu­ni­ca­zio­ne, che tra­sfor­mi l’azione da imma­gi­na­ta a pos­si­bi­le. Come quan­do si costrui­sce un palaz­zo: si par­te dal­la base. La base, que­sta paro­la oggi così anche mal uti­liz­za­ta. E allo­ra ripar­tia­mo da que­ste basi, dal­le nostre paro­le, dai nostri pen­sie­ri per poter­ci capi­re e tro­va­re un sen­so comu­ne per muo­ver­ci con idee con­di­vi­se in dire­zio­ne di pro­get­ti di cambiamento.

L’Associazione Pos­si­bi­le ha capi­to l’importanza di tut­to questo.

Enri­ca Birardi

Ps: nel mio blog  rac­con­to incon­tro dopo incon­tro lo svol­gi­men­to di tut­ti i caf­fè filosofici.

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