Oggi Goffredo De Marchis svela su Repubblica quello che sanno un po’ tutti anche se fingono di non saperlo: Matteo Renzi (e quindi per la legge dei numeri e dei regolamenti, nonostante i pareri di Emiliano) punta deciso sulle elezioni a giugno (dirà aprile per avere un margine di tranquillità) con questa legge elettorale ritoccata pro domo sua (ha bisogno di mettere “i suoi” anche al Senato, come si conviene a un leader sconfitto che finge di avere imparato la lezione ma in realtà continua ad arroccarsi) e, come si legge su Repubblica, «Pisapia e Boldrini li candiderà il Pd».
Ci stupisce? No, certo. Stupisce, piuttosto, che un pezzo di dibattito politico si ostini a inscenare possibilità che non si sono mai aperte e non si apriranno sicuramente nei prossimi mesi. Pisapia (con Boldrini e altri) parla di “allargamento a sinistra” ma intende se stesso e i suoi come sostenitori sinistri dello schema che Renzi ha in mente con la speranza (bontà sua) di condizionare un meccanismo che per mille giorni ha portato questo governo nelle paludi della destra; D’Alema minaccia il PD di uscirne per prendersi i voti utili a contare ancora dentro il PD e poi governarci insieme; Emiliano (e gli eterni malpancisti che malpanciano ma non agiscono) aspetterà il suo turno; un pezzo di Sinistra Italiana (e sia detto senza sarcasmo ma con realismo) cercherà di intrufolarsi proprio lì.
Quindi? Quindi il dibattito che ogni giorno ci propinano sulla nuova “sinistra” è un movimento (satellitare) intorno a posizionamenti legittimi ma indigeribili. Quello che serve forse è proprio “decidere il campo” (che è una frasetta che va tantissimo di moda). Ma con le politiche da attuare, non con i politicismi da metterci dentro. Costruire politiche, più che alleanze.