[vc_row][vc_column][vc_column_text]A Roccasecca l’azienda Ideal Standard, multinazionale con sede in Belgio e circa 17mila dipendenti, ha deciso di cessare la produzione mettendo a rischio il lavoro di circa 300 persone e la sopravvivenza delle loro famiglie.
Non è l’unica testimonianza di una crisi profonda per la provincia di Frosinone: tante le attività e le imprese che, negli anni hanno scelto di ridurre la produzione mettendo così a rischio i lavoratori, tra le tante anche la FCA di Piedimonte San Germano, dove i dipendenti sono stati avvisati tramite sms di dover restare a casa.
“E’ tutta colpa della crisi” dicono. Ma forse è anche un po’ colpa del sistema del lavoro che in questi anni è stato fatto implodere senza tenere conto dell’imperativo categorico prescritto nella nostra Costituzione all’articolo 36: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
I Governi che si sono succeduti hanno promosso la flessibilità, senza alcuna sicurezza, che è diventata sempre più precarietà, ed una liberalizzazione della condizione del lavoratore, che si è tradotta in una progressiva riduzione delle tutele e dei diritti, in una sola parola di quella dignità sancita in Costituzione.
Per questo la nostra battaglia deve andare su due binari distinti ma paralleli: da un lato serve intervenire per limitare la precarietà e rimettere al centro i diritti dei lavoratori, dall’altro è necessario ripensare il mercato del lavoro e le politiche di sviluppo dei nostri territori.
La provincia di Frosinone ha bisogno di stimoli capaci di allargare gli orizzonti di un settore in affanno come quello industriale, partendo dalla riconversione industriale e dall’apertura di nuovi canali che possano promuovere l’occupazione, per esempio attraverso il rilancio del turismo ambientale, culturale e artistico di questo territorio. Attraverso l’investimento in innovazione, eterna dimenticata delle politiche di sviluppo del nostro Paese. Ma questo non basta se non ripensiamo in maniera complessiva le relazioni economiche che stanno alla base dei rapporti di lavoro.
All’Ideal Standard i lavoratori che oggi rischiano il licenziamento hanno sottoscritto accordi con i quali hanno ridotto i salari e aumentato la produzione pur di partecipare alla ripresa dello stabilimento dimostrando la voglia di essere parte integrante di un processo di rilancio. La risposta della proprietà è stata quella di non presentarsi nemmeno al tavolo convocato dal Ministero con le parti sociali. Un atteggiamento non solo arrogante ma anche inaccettabile che sembra testimoniare la logica dei dirigenti delle multinazionali che troppo spesso scappano dalle loro responsabilità sociali ed economiche.
Dobbiamo riprendere la lotta contro la precarietà che ha immobilizzato intere generazioni di lavoratori rendendoli numeri e non più persone, a partire dalla reintroduzione dell’articolo 18, dalla scelta chiara e netta di un salario minimo orario e dalla limitazione dei contratti ultraleggeri. Il lavoratore deve essere rispettato nella sua dignità e per il lavoro che svolge e deve essere sostenuto anche quando il lavoro lo perde, attraverso un Reddito Minimo capace, che non è una misura di assistenzialismo come una certa politica lo ha descritto, ma un atto di civiltà che assicura la libertà di ogni cittadina e cittadino. Serve un contratto unico per tutti i lavoratori basato sulla professionalizzazione affiancato da politiche attive di riqualificazione e formazione continua.
Se vogliamo (ri)fare la Sinistra e cambiare questo Paese dobbiamo ripartire dalle basi: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
Un lavoro giusto, equo, dignitoso, retribuito, continuativo, tutelato.
Un lavoro che ci renda libere, liberi e uguali.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]