Provate a sentire qualsiasi discorso di qualsiasi politico italiano. Ad un certo punto, più o meno a metà, verrà pronunciata la nuova formula magica: big data. Matematico. Peccato che poi nessuno spieghi cosa effettivamente siano questi big data. E a conti fatti non è nemmeno importante, perché la cosa che conta è usare lo slogan. Dimostrare di essere sul pezzo. Cavalcare le onde e seguire le mode. E il tema del digitale, in Italia è sempre stato di moda. Talmente di moda che non si è fatto praticamente niente per colmare il tanto osteggiato divario digitale se non con le solite politiche di comodo che si preoccupano di guardare il dito mentre si perde di vista la luna (qualche evento qui e là, qualche parola qui e là, qualche urban screen qui e là, ecc.). E intanto il divario aumenta e all’analfabetismo funzionale si aggiunge un altro analfabetismo, quello digitale (usare il digitale, infatti, è diverso da smanettare sui tablet).
Da tempo gira una foto di Giuseppe Civati a Milano con un cartello che recita “I ♥ Internet”. E nella sua mozione c’è un capitolo chiamato proprio Il paese digitale. Il tema infatti deve essere oggetto di un progetto più ampio, strutturale, politico, culturale e capace davvero di migliorare la qualità della vita. Lavorare sul digitale non solo per smaltire la burocrazia. Non solo internet libero per le città uscendo da regolamenti troppo restringenti (la mappatura free wi-fi in Italia è ancora in ritardo rispetto alle percentuali degli altri paesi europei). Ma anche garantire un accesso libero alla conoscenza attraverso l’open access – un grande progetto che garantirebbe la diffusione della ricerca pubblica a tutti i livelli e in tutti i campi e su cui le università stanno cercando di lavorare non senza difficoltà e resistenze – oppure il tema sentito della trasparenza governativa, rendendo le procedure verificabili dai cittadini.
Per questo è fondamentale lavorare sulla cultura digitale. Internet è un’arma potentissima che va saputa usare. Bisogna essere cittadini (digitali) consapevoli. Se il prossimo secolo sarà il secolo del digitale, anche i cittadini dovranno essere capaci di relazionarsi a questa cultura.
Anche in questo caso bisogna lottare contro le diseguaglianze e garantire un accesso il più possibile orizzontale. Il digitale, infatti, non è un fenomeno naturale, ma gestito da noi tutti in prima persona. Bisogna imparare a farlo attraverso mezzi appropriati (problema strutturale) per evitare le derive populistiche di un approccio “televisivo” uno → molti (problema politico) e lavorare, quindi, alla formazione di cittadini democratici la cui alfabetizzazione media, alzandosi, contribuisce a rendere le scelte più consapevoli (problema culturale).
Le differenze si superano superandole, così come le reticenze e le paure. La politica deve fare diversi passi per garantire un internet libero, un digitale funzionale per offrire nuove opportunità di conoscenza e anche lavoro. Smettendola, quindi, di usare comodi slogan che coprono il buco con una pezza mentre questo si lacera sempre di più. Anche in questo campo dobbiamo preoccuparci di non arrivare ultimi.