All’inizio del 2011 gli egiziani riversatisi in massa nelle strade e nelle piazze del Cairo per mettere fine alla dittatura trentennale di Hosni Mubarak confidavano nella fioritura di una primavera democratica. Il Paese è invece scivolato in un lungo inverno scandito dalla contro-rivoluzione permanente dell’oligarchia militare, che nella storia repubblicana ha sempre mantenuto un ruolo dominante nella società egiziana. Sotto la guida del generale al-Sisi, l’Egitto ha conquistato i favori dell’Occidente presentandosi come un baluardo contro l’estremismo, un partner chiave nella stabilizzazione del Mediterraneo e (non da ultimo) un prezioso bacino di idrocarburi. La realtà vissuta sulla pelle degli egiziani tuttavia racconta un regime liberticida che dietro al pretesto del contrasto al terrorismo reprime il dissenso in modo sistematico ed efferato. Nelle maglie della repressione finì anche Giulio Regeni, giovane ricercatore dell’Università di Cambridge, rapito, torturato e infine ucciso nel febbraio del 2016 da quattro agenti dell’apparato di sicurezza egiziano.
Eppure, il Governo italiano ha continuato ad armare il sanguinario regime di Sisi. Il volume delle commesse militari è anzi triplicato nel 2019, quando l’Egitto è risultato il maggior acquirente di armamenti made in Italy per un valore stimato in 871,7 milioni di euro. Lo scorso giugno la vendita di due fregate Fremm (inizialmente destinate all’ammodernamento della marina militare italiana) ha ulteriormente approfondito la cooperazione bilaterale, ponendo le basi per quella che è stata definita la “commessa del secolo”, un ordinativo monstre compreso tra 9 e 11 miliardi di euro che impegnerebbe il Governo italiano alla fornitura nei prossimi anni di un vero e proprio arsenale: quattro fregate multiruolo commissionate a Fincantieri, 20 pattugliatori, 24 caccia Eurofighter Typhoon, altrettanti aerei da addestramento Aermacchi M‑346 e altri armamenti.
Scorrendo l’ultima relazione governativa annuale sull’export di armamenti, balza agli occhi che nel 2019 il secondo destinatario dopo l’Egitto è stato il Turkmenistan. Freedom House, istituto di ricerca che monitora il rispetto delle libertà fondamentali nel mondo, classifica il paese centro-asiatico senza esitazione come un “regime autoritario consolidato” e lo colloca in fondo alla graduatoria per grado di democrazia e diritti politici.
Dimmi a chi vendi armi e ti dirò chi sei, verrebbe da dire.
Nell’ultimo decennio l’industria bellica italiana ha registrato un aumento consistente nelle vendite verso l’estero. Le esportazioni di armamenti autorizzate dal Governo tra il 2015 e il 2019 hanno toccato 44 miliardi di euro, valore che pareggia le licenze approvate nei 15 anni precedenti. È grave riscontrare che in misura sempre maggiore le commesse abbiano interessato Paesi extra-UE e NATO in cui libertà civili e diritti politici non sono garantiti. Oltre ai già menzionati Egitto e Turkmenistan, tra i primi clienti dell’export militare italiano figurano Kuwait, Qatar, Pakistan, Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Algeria. Una fetta di mercato cospicua per i sistemi d’arma prodotti dal comparto industriale italiano è dunque riservata a governi dai tratti autoritari che vengono meno al rispetto dei diritti umani.
Ciò avviene in palese contrasto sia con la legislazione nazionale, sia con gli impegni assunti a livello internazionale. La legge 185/90, articolo 1 comma 6, pone infatti il divieto all’esportazione di armi verso Paesi “i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa”, nonché “verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”. Al tempo della sua promulgazione la legge aveva raccolto la mobilitazione della società civile “contro i mercanti di morte” e si poneva all’avanguardia nel panorama europeo nella regolamentazione del commercio di armi, ma le disposizioni sopracitate sono spesso rimaste lettera morta.
Già nell’agosto del 2013 il Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europea aveva condannato il massacro di Rabaa al-Adawiya (quando le forze di sicurezza egiziane sfollarono con violenza inaudita un sit-in di protesta contro il colpo di stato militare e la deposizione del precedente Presidente Morsi provocando oltre mille morti in pochi giorni) e impegnava gli Stati Membri a sospendere trasferimenti di materiali militari verso il Cairo. La pronuncia del Consiglio non era tuttavia vincolante e fu perciò disattesa da diversi paesi europei, Italia inclusa, nonostante l’intensificarsi del pugno di ferro di Sisi. Con due risoluzioni, dapprima nel dicembre del 2018 e poi nell’ottobre del 2019, il Parlamento Europeo è però tornato sulla questione, deplorando la persistente violazione dei diritti fondamentali in Egitto e invitando nuovamente gli Stati Membri a dare seguito alla sospensione delle licenze di esportazione.
Unitamente al rapporto (A/72/44) predisposto dal Comitato contro la Tortura delle Nazioni Unite in cui si conclude in modo inequivocabile che la tortura è sistematicamente praticata dallo stato egiziano, le risoluzioni del Parlamento Europeo indicano una linea di condotta ben diversa da quella tenuta dal Governo italiano. Considerando anche il coinvolgimento egiziano nei conflitti in corso in Libia e Yemen, la sinergia militare viola non solo il dettato della legge 185/1990, ma anche il Trattato sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty), ratificato nel 2014, che all’articolo 7 vieta agli Stati parte di autorizzare l’esportazione di armi laddove queste potrebbero essere usate “per commettere o agevolare una grave violazione del diritto internazionale umanitario” o “una grave violazione dei diritti umani”.
Chiudere un occhio non è più accettabile.
Rilanciamo l’appello congiunto di Amnesty International Italia e Rete Italiana Pace e Disarmo per fermare la vendita di sistemi d’arma verso l’Egitto e assieme a loro auspichiamo che la questione venga affrontata al più presto in sede parlamentare. Si tratta di un atto dovuto, previsto dalla legge 185/1990, ma che appare ancor più necessario per rivalutare le traiettorie della politica estera e di difesa italiana alla luce degli orientamenti generali fissati in Costituzione.
Conviene fare un esercizio di memoria. Articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
Disarmare la guerra è possibile e necessario. Impegniamoci a farlo, da subito, chiedendo: #StopArmiEgitto
Alessandro Tinti
Comitato Firenze Possibile Piero Calamandrei
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