Due anni fa moriva Leah-Beth Richards. Dopo anni di calvario per una cura chemioterapica che il suo corpo non tollerava, Leah-Beth aveva chiesto ai medici che le cure fossero interrotte, ben consapevole di quello cui sarebbe andata incontro. L’ospedale, non volendo sospendere i trattamenti, aveva minacciato azioni legali. Ma alla fine aveva ceduto, rispettando la volontà di Leah-Beth di vivere dignitosamente il tempo che le restava, senza cure. Cinque anni intensi, vissuti giorno dopo giorno con la consapevolezza che ogni momento trascorso poteva essere l’ultimo, e nonostante questo con una forza immensa e una gioia di vivere fuori dal comune. Leah-Beth si è spenta nel suo letto in una domenica di dicembre del 2011, con i genitori al suo fianco. Aveva 13 anni.
Questa storia viene da un paesino del Galles, di nome Pontypridd, vicino a Cardiff.
Chiedersi cosa sarebbe accaduto in Italia non è un mero esercizio retorico: è di fatto un obbligo morale. Soprattutto perché troppe, nel nostro paese, sono da sempre le pressioni che ci impediscono di imboccare con decisione la via della laicità su questioni di importanza primaria che riguardano la dignità, la salute, l’autodeterminazione di un individuo.
L’articolo 32 della Costituzione italiana recita: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
E tuttavia, ad oggi, le carenze legislative su temi quali l’eutanasia o il testamento biologico, in un paese dalla storia millenaria come l’Italia — la culla del Diritto — sono a dir poco imbarazzanti. La politica è spesso timida, quando non reticente. Colpevolmente reticente. L’etica religiosa lotta per sostituirsi all’etica laica. I casi nazionali di Franco Lucentini, Lucio Magri, Mario Monicelli e quello recente di Carlo Lizzani riaccendono le nostre coscienze per qualche giorno al massimo, giusto il tempo di vita medio di una notizia che fa scalpore, e poi tutto precipita nuovamente nell’oblio, fino al prossimo caso illustre, mentre le vicende simili dei soliti ignoti non ricevono spazi, ma solo assordanti silenzi.
Ed è proprio il silenzio, in fondo, ad essere l’emblema di un dialogo mai nato, in questa Italia che troppo spesso, ultimamente, sembra aver abdicato ai temi dei diritti. Perfino a sinistra, che pure è il luogo politico dei più deboli per antonomasia, di coloro che devono lottare per veder rispettati i più elementari diritti. Il diritto di vivere con dignità, ad esempio. Ma anche, con la stessa dignità, il diritto di morire.
C’è bisogno di una sinistra che torni ad occupare questi spazi lasciati per troppo tempo vuoti, che torni a ridare voce a questi bisogni, che si impegni a lottare, giorno dopo giorno, per la salvaguardia di questi diritti. Quando questo accadrà, vorrà dire che il vento sarà cambiato davvero.
Vorrà dire che le storie come quella di Leah-Beth, che al suo funerale volle persone vestite non di nero ma con abiti dai colori vivaci, ci avranno davvero insegnato qualcosa.