Ora che la legge sul fine vita è stata finalmente calendarizzata, comincia la sfida più ardua: l’approvazione alla Camera.
Sappiamo bene quanto il tema sia delicato e quanto a volte si fatichi anche a parlarne. Si tratta del momento più misterioso e doloroso che si possa affrontare, è quindi comprensibile che tante siano le preoccupazioni e i timori anche solo a volerne discutere.
Ma questi timori negli anni hanno significato girarsi dall’altra parte e non affrontare la questione, relegando a una solitudine ricca di timori e di sensi di colpa i malati terminali, i loro familiari e i medici, creando, di fatto, una zona d’ombra piena di dolore.
Noi da mesi ci battiamo a fianco di Max Fanelli nella sua battaglia per il fine vita e in questo periodo tante persone mi hanno contattato per spiegarmi la loro storia, il loro punto di vista e anche le perplessità.
Come ripetiamo spesso, dobbiamo rendere popolari temi importanti per la vita delle persone, che popolari non sono, ma per farlo bisogna favorire la partecipazione e il confronto.
Innanzitutto vorremmo chiarire di cosa parliamo: parliamo di diritti dei morenti, cioè di considerare anche l’ultima parte della vita come un momento che, al pari di tutte le altre fasi della vita, necessita di riconoscimento, con i relativi diritti, per affrontarlo nel modo più sereno e dignitoso possibile.
Vorremmo che non si considerasse solo il “vivere bene”, ma anche il “morire bene”.
Parliamo quindi non solo di eutanasia, per molti uno scoglio della discussione insuperabile ma anche di terapia del dolore e delle cure palliative, di autodeterminazione e di testamento biologico, di assistenza domiciliare, di supporto ai familiari e di tutto quanto debba essere garantito a un malato terminale, affinché possa vivere dignitosamente le ultime fasi della vita.
Ci piacerebbe costruire una Carta dei Diritti dei morenti e ci piacerebbe farlo, partendo dal basso, confrontandoci con chi vive da vicino questa fase: con chi è malato, con chi gli è vicino (perché la malattia coinvolge tutti gli affetti e spesso la famiglia vive un profondo stato di solitudine) e con chi lavora sul campo: medici, infermieri, anestesisti.
Vorremmo conoscere le storie e i punti di vista umani e professionali. Lo faremo, come al solito, di “persona personalmente”, girando l’Italia e coinvolgendo i comitati di Possibile che vorranno aderire.
Cominceremo a parlarne già giovedì sera a San Giovanni in Persiceto (Bologna) in un incontro organizzato dal comitato “Crevalcore Possibile”, dal circolo Arci Akkatà e ad “Amnesty International — Gruppo Giovani SGP”.
Chi volesse contattarmi e raccontarmi la sua storia può farlo come sempre scrivendo a beatrice.brignone (chiocciola) gmail (punto) com.