“Noi vinceremo. Perché abbiamo bisogno del Partito Democratico che sogniamo.” Parole e musica di Giuseppe Civati, nell’apertura della sua campagna congressuale, dal palco del teatro Vittoria di Roma. Nomen omen, viene da pensare. E di certo è l’auspicio del pubblico che riempie la sala per coronare l’evento. Sullo sfondo, alcuni strumenti musicali affollano il palco. La metafora di una musica diversa, una sinfonia nuova. Originata da una partitura che si compone giorno dopo giorno, col contributo di tutti. Come il documento della mozione, per il quale Civati ha deciso di impostare la modalità “social”, lanciando l’iniziativa di raccogliere proposte e innovazioni da integrare nel progetto originale.
Non a caso è il calore della partecipazione e la passione convinta per un’etica politica sana e coerente che traspaiono dagli sguardi e dagli applausi dei convenuti all’evento.
Tra i presenti Laura Puppato, Corradino Mineo, Felice Casson. Tra i colleghi di partito siamo “pochi ma ottimi”, dirà Civati scherzando.
Il primo a prendere la parola è Andrea Ranieri. “Sono fiero di far parte di una straordinaria mobilitazione cognitiva” dice citando Fabrizio Barca, e aggiunge: “Il Pd di Civati rimetterà il cuore dentro il cervello”. Il riferimento è ai contenuti della mozione, “che sarà pure lunga, ma è l’unica che somiglia ad un programma di governo per questo paese”. “I programmi vaghi, del resto, consentono ogni tipo di trasformismo”, chiosa tra gli applausi.
È la volta di Elly Schlein.
“Sogniamo insieme un Pd che sia casa per tutti coloro che hanno passione e speranza”, dice con la voce rotta dall’emozione. Un Pd che esiste già, avverte, nei tanti amministratori che ottengono risultati giorno dopo giorno. “È compito nostro che sia proprio questo il Pd di tutti”. Accenna, con un pizzico di commozione, alla generosità di Civati, alla sua capacità di “valorizzare le persone”. “I 101 nascono proprio da una lunga storia di mancato coraggio e mancato ascolto”, sottolinea infiammando la platea. Applausi.
Prende la parola Walter Tocci, anche lui vibrante. “Abbiamo un compito ambizioso, caro Pippo: dobbiamo inondare i circoli e i gazebo di una forza felice”, dice. Perché “il successo della mozione Civati potrebbe cambiare tutto davvero”. Allude alla parte “triste” di alcuni dirigenti Pd e bacchetta “quelli delle passioni finte, che fanno fortune sulla crisi del Pd, guardandosi bene dal risolverla”. Rilancia la speranza e la responsabilità del cambiamento: “Abbiamo un compito ambizioso: aprire una possibilità. Dovremmo rispondere a questo capitalismo cupo col sorriso di riforme che sappiano portare felicità”.
È il momento di Civati, applauditissimo mentre sale sul palco.
L’incipit è tutto per il tema del cambiamento. “I dirigenti si cambiano cambiandoli”, scherza citando Crozza. Ma il suo tono si fa serio quando immagina un paese diverso, in cui “cambiare acqua, aria, suolo, tempo, mezzi”. “Perché l’ambiente è ancora un tema minoritario”, dice citando i referendum dimenticati.
“E attenzione, va bene cambiare verso”, insiste rivolgendosi a Renzi, “però bisogna intendersi su quale sia il verso” (applausi). Perché è preoccupante lo “scivolamento a destra di molti”. Se c’è un luogo dell’immobilismo, dice, questo è proprio la destra. “Spetta alla sinistra cambiare davvero, schemi e rapporti di potere”.“Votate non per me, badate – ammonisce — votate per voi” e allude allo slogan ‘civoti’, rilanciato anche su Twitter, simbolo del senso perduto di una collettività da ricostruire tutti insieme.
“Ma soprattutto votiamo per quelli che sono dietro lo schermo, quelli che sono ‘schermati’ dalla politica”, dice parlando delle responsabilità politiche di una vera sinistra.
“Perché bisogna cambiare per far vincere non i condannati, ma i condannati a perdere: gli esclusi, gli emarginati”, chiosa fra gli applausi.
Un obiettivo dice, quello dell’uguaglianza, che si deve perseguire senza alzare i toni e senza sbattere le porte, con un modo diverso di fare politica, che Civati rivendica: “Io non voglio parlare alla pancia, ma guardare negli occhi le persone”.
E rilancia un concetto semplice, ma fondamentale: la rappresentanza.
“Non è vero che si deve piacere a tutti; solo a qualcuno. E saperlo rappresentare. Questa è la cosa difficile”.
Ricorda chiaramente che con lui le larghe intese avrebbero vita breve e ribadisce: “con noi cambierebbe tutto il gruppo dirigente”. “Anche perché con me, non c’è nessuno dei 101”, assicura.
Le ultime parole del suo discorso sono per la figlia di appena un anno, che ricorda per rievocare la responsabilità di un agire politico rivolto al futuro. La sfida, dice Civati, è pensare in prospettiva. “Guardare ai prossimi venti o trent’anni con l’obiettivo di creare un paese che sentiamo nostro. E che le prossime generazioni, soprattutto, possano sentire come loro”.
Civati scende tra il pubblico e ringrazia gli ospiti.
La sensazione, stando tra la gente, è che si stia scrivendo una pagina importante della sinistra italiana.
E che questo viaggio collettivo, che appassiona ogni giorno di più i tanti che hanno il coraggio e la follia di intraprenderlo, come direbbe Civati, sia appena cominciato.