(Dis)parità salariale: a che punto siamo

Il Global Gender Gap Report 2017 presentato a Davos, ci ha mostrato un quadro poco rassicurante: l’indice che misura lo scarto tra uomini e donne pone l’Italia all’82° posto su 144 Paesi.

Ve la ricor­da­te la Com­mis­sio­ne Atta­li? La Com­mis­sio­ne per la libe­ra­zio­ne del­la cre­sci­ta” volu­ta da Sar­ko­zy nel 2007 e inca­ri­ca­ta di riflet­te­re per alcu­ni mesi, in asso­lu­ta indi­pen­den­za, sul­le rifor­me neces­sa­rie per il rilan­cio del­la cre­sci­ta economica?

Il Rap­por­to fina­le sti­la­to dal­la Com­mis­sio­ne, com­pren­si­vo di 316 pro­po­ste, fu con­se­gna­to al Pre­si­den­te fran­ce­se nel gen­na­io del 2008. Oltre a con­te­ne­re alcu­ni prin­ci­pi che Atta­li svi­lup­pe­rà in segui­to (Posi­ti­ve Eco­no­my) già si par­la di misu­ra­re lo svi­lup­po dei Pae­si, sgan­cian­do­si dal para­me­tro (spes­so bugiar­do) del Pil (in real­tà pre­ve­den­do che diven­ti solo uno dei 29 diver­si para­me­tri per misu­ra­re il gra­do di svi­lup­po). Secon­do la pri­ma sti­ma dell’“Indi­ce Atta­li”, nel 2015, al pri­mo posto, tra i Pae­si appar­te­nen­ti all’Ocse, c’e­ra la Sve­zia, Fran­cia 19-esi­ma, Ita­lia 32-esi­ma, la Gre­cia ulti­ma al 34-esi­mo posto.

Fra gli indi­ca­to­ri tro­via­mo le “iné­ga­li­tés de reve­nus” (le disu­gua­glian­ze di red­di­to), mobi­li­tà socia­le e nume­ro di don­ne in Par­la­men­to. Sareb­be impor­tan­te però, a que­sti indi­ca­to­ri, aggiun­ge­re un’ap­pen­di­ce (o un indi­ca­to­re sup­ple­men­ta­re) quel­la che riguar­da il dif­fe­ren­zia­le del red­di­to fra uomo e don­na che svol­go­no lo stes­so lavo­ro: il Gen­der Pay Gap(GPG).

Il Glo­bal Gen­der Gap Report 2017 pre­sen­ta­to a Davos (*), ci ha mostra­to un qua­dro poco ras­si­cu­ran­te: l’indice che misu­ra lo scar­to tra uomi­ni e don­ne pone l’Italia all’82° posto su 144 Paesi.

Il GPG tra uomi­ni e don­ne in Ita­lia è del 17,9%. Que­sto diva­rio sala­ria­le com­por­ta che le don­ne lavo­ri­no ‘gra­tis’ per 66 gior­ni su 365, quin­di fino all’8 mar­zo circa…

Spes­so si cita­no i dati che Euro­stat (**) dif­fon­de ogni anno. Ci sono però due fat­to­ri deter­mi­nan­ti a ren­de­re quel dato poco atten­di­bi­le o poco uti­le al con­fron­to con gli altri Pae­si. Il pri­mo è che i dati Euro­stat ten­go­no insie­me il set­to­re pub­bli­co con il set­to­re pri­va­to e, in Ita­lia rispet­to al resto dei Pae­si euro­pei, nel pub­bli­co impie­go non esi­sto­no aumen­ti per­so­na­liz­za­ti ma scat­ti di anzia­ni­tà. Col risul­ta­to di abbas­sa­re note­vol­men­te il diva­rio sala­ria­le tra uomi­ni e don­ne nel set­to­re pub­bli­co: 4,4%, uno dei più bas­si (anche se resta ingiu­sti­fi­ca­bi­le). La media fra pub­bli­co e pri­va­to (il 55% dei dipen­den­ti del pub­bli­co impie­go sono don­ne) por­ta ad un GPG del 5,3%. Un dato dopa­to posi­ti­va­men­te da que­sta sin­go­la­ri­tà ita­lia­na e dal part time (spes­so non volon­ta­rio) che anche in altri Pae­si tro­va lar­ga dif­fu­sio­ne (pen­sa­te ai mini jobs tede­schi) ma che, qui da noi, riguar­da pre­va­len­te­men­te le don­ne, sen­za con­ta­re l’e­le­va­ta inci­den­za dei lavo­ri ati­pi­ci, ren­den­do la base di con­fron­to sul tem­po pie­no meno rap­pre­sen­ta­ti­va in que­sta fram­men­ta­ta realtà.

Secon­do la Ban­ca d’I­ta­lia l’au­men­to del­l’oc­cu­pa­zio­ne e dei sala­ri del­le don­ne sareb­be un vola­no per l’e­co­no­mia ita­lia­na. Tenen­do in con­to che un più alto red­di­to fami­lia­re faci­li­ta la fecon­di­tà. Dove le don­ne lavo­ra­no di più, infat­ti, nasco­no anche più bam­bi­ni e non il con­tra­rio. Un tema che andreb­be posto al cen­tro dell’agenda poli­ti­ca del governo.

L’I­slan­da che ha impo­sto per leg­ge la pari­tà sala­ria­le (e già può van­ta­re il GPG più bas­so al mon­do, sem­pre secon­do i dati pre­sen­ta­ti a Davos) pre­ve­de di annul­la­re il diva­rio entro il 2022. Ci sono ini­zia­ti­ve per col­ma­re il diva­rio fra sala­ri anche in Ger­ma­nia, qual­co­sa si è mos­so negli USA nel secon­do man­da­to di Oba­ma, una gran­de acce­le­ra­zio­ne s’è vista nel Regno Uni­to dopo il ter­re­mo­to alla BBC, di fine 2017, cau­sa­to dal­la gior­na­li­sta Car­rie Gra­cie che, giu­sta­men­te, chie­de­va l’ap­pli­ca­zio­ne del­l’E­qua­li­ty Act risa­len­te al 2010.

In Ita­lia la cam­pa­gna elet­to­ra­le è vola­ta mol­to più in bas­so di que­sti impor­tan­tis­si­mi temi, né i pro­gram­mi né il Con­trat­to sigla­to dai par­ti­ti di gover­no men­zio­na­no il GPG. L’u­ni­co ‘gen­der’ che cono­sco­no è quel­lo (del­la teo­ria) che non esi­ste. Ad oggi c’è solo l’ar­ti­co­lo 46 del Decre­to Legi­sla­ti­vo 11 apri­le 2006 n.198 (ex art. 9 L. 125/91) che riguar­da una por­zio­ne di lavo­ra­to­ri minoritaria.

“Le azien­de pub­bli­che e pri­va­te che occu­pa­no oltre cen­to dipen­den­ti sono tenu­te a redi­ge­re un rap­por­to alme­no ogni due anni sul­la situa­zio­ne del per­so­na­le maschi­le e fem­mi­ni­le in ognu­na del­le pro­fes­sio­ni e in rela­zio­ne allo sta­to di assun­zio­ni, del­la for­ma­zio­ne, del­la pro­mo­zio­ne pro­fes­sio­na­le, dei livel­li, dei pas­sag­gi di cate­go­ria o di qua­li­fi­ca, di altri feno­me­ni di mobi­li­tà, del­l’in­ter­ven­to del­la Cas­sa inte­gra­zio­ne gua­da­gni, dei licen­zia­men­ti, dei pre­pen­sio­na­men­ti e pen­sio­na­men­ti, del­la retri­bu­zio­ne effet­ti­va­men­te corrisposta”.

Pos­si­bi­le nel­la pas­sa­ta legi­sla­tu­ra fece del­le pro­po­ste in que­sto sen­so, che anda­va­no ad inci­de­re sul­la quo­ti­dia­ni­tà e cer­ca­va­no di ridur­re le dispa­ri­tà. Una sul­la “Tam­pon Tax”, per ridur­re l’I­VA al 4% su que­sto tipo di pro­dot­ti igie­ni­co-sani­ta­ri con­si­de­ran­do­li a tut­ti gli effet­ti dei beni essenziali.

L’al­tra pro­po­sta sul diva­rio retri­bu­ti­vo, pro­po­nen­do che le impre­se e le orga­niz­za­zio­ni sia­no tenu­te a garan­ti­re la tra­spa­ren­za e la pub­bli­ci­tà del­la com­po­si­zio­ne e del­la strut­tu­ra sala­ria­le del­la remu­ne­ra­zio­ne dei pro­pri dipen­den­ti, comu­ni­can­do con chia­rez­za esclu­si­va­men­te l’appartenenza di gene­re e la com­po­si­zio­ne sala­ria­le. In que­sto modo di ogni azien­da si può facil­men­te cono­sce­re quan­ti uomi­ni e don­ne sia­no assun­ti e qua­le sia il loro livel­lo di retri­bu­zio­ne.

Inol­tre si pro­po­ne­va la modi­fi­ca dell’articolo 80 del codi­ce degli appal­ti, in modo tale da aggiun­ge­re tra le cau­se di esclu­sio­ne dal­la par­te­ci­pa­zio­ne alle gare anche il man­ca­to rispet­to del­la pari­tà sala­ria­le tra lavo­ra­to­ri e lavoratrici.

Ste­fa­no Artusi

 

(*) Il Glo­bal Gen­der Gap del World Eco­no­mic Forum misu­ra la pari­tà (o dispa­ri­tà) di gene­re su quat­tro dimen­sio­ni: Eco­no­mic Par­ti­ci­pa­tion and Oppor­tu­ni­ty, Edu­ca­tio­nal Attain­ment, Health and Sur­vi­val, Poli­ti­cal Empo­wer­ment. Un indi­ce glo­ba­le GGG di cui il GPG è solo uno degli indicatori.

(**) Euro­stat misu­ra il GPG sui dati pub­bli­ci (in Ita­lia sono obbli­ga­ti a pub­bli­car­li solo nel set­to­re pub­bli­co e le azien­de dai 100 dipen­den­ti in su).

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